Cosa cambierà in Ucraina e Israele con Trump?
Nel nostro approfondimento settimanale parliamo della posizione americana nei due principali conflitti in corso nel mondo e della grazia concessa da Biden al figlio.
Cosa cambierà in Ucraina e Israele con Trump?
L’elezione di Donald Trump ha suscitato diversi timori in merito alla continuazione del supporto statunitense per l’Ucraina. In particolare, durante la campagna elettorale, il tycoon si è più volte espresso a favore di un negoziato volto a porre fine alle ostilità. Contemporaneamente, diversi politici vicini al neopresidente hanno parlato in maniera critica nei confronti degli aiuti militari per Kiev. Altri, quali la ben nota Majorie Taylor Greene hanno addirittura espresso una retorica anti-Ucraina, sposando diverse argomentazioni portate avanti dalla propaganda russa. A dispetto di ciò, l’Amministrazione Trump eredita da Biden non solo un paese profondamente diviso, ma anche un sistema internazionale scivolato ormai in una condizione anarchica nella quale la posizione di preminenza americana è duramente messa alla prova. Il conflitto in Ucraina rappresenta uno degli scenari maggiormente importanti nell’ottica della preservazione del sistema unipolare a guida statunitense.
A tal proposito, risulta fortemente improbabile un taglio completo degli aiuti all’Ucraina da parte dell’Amministrazione Trump. Tale stato di cose risulta inoltre rafforzato dalla necessità di ripristinare la deterrenza statunitense, duramente indebolita dal disastro afghano e dall’invasione russa dell’Ucraina, nei confronti dei propri competitors. La Repubblica Popolare Cinese, il principale rivale degli Stati Uniti, risulta infatti uno dei maggiori osservatori del conflitto in corso nell' paese europeo. La postura americana nei riguardi di tale dossier influenzerà sicuramente la ponderazione di una possibile invasione di Taiwan da parte di Pechino. A tal proposito, è probabile che Donald Trump impieghi una strategia fondata sulla continuazione del sostegno militare all’Ucraina, avviando parimenti un processo negoziale con Mosca, sfruttando la sua imprevedibilità come arma per convincere il Presidente russo Vladimir Putin a porre fine al conflitto.
Per quanto riguarda l'altro conflitto in corso, quello israelo-palestinese, uno dei fattori è la vicinanza del tycoon al paese guidato da Netanyahu, che del resto è una delle pochissime nazioni aventi un’opinione pubblica fortemente favorevole al Tycoon. In particolare, il futuro presidente americano ha riconosciuto la sovranità israeliana sulle alture del Golan, oltre a decidere di spostare l’Ambasciata statunitense da Tel Aviv a Gerusalemme. Al contempo, ha fortemente favorito la creazione di un asse tra Israele e le nazioni arabe sunnite da impiegare come struttura di contenimento del principale rivale di Washington nella regione, la Repubblica Islamica dell’Iran. A dispetto della firma dei ben noti Accordi di Abramo tra Israele, Bahrein ed Emirati Arabi Uniti, il processo di pace arabo israeliano risulta ben lontano dall’essere completato, a causa della mancata formazione di uno Stato palestinese vero e proprio.
In virtù di ciò, se da un lato l’ascesa di Donald Trump ha suscitato preoccupazioni circa la possibilità di un definitivo abbandono da parte degli Stati Uniti della soluzione dei due stati in favore di un incondizionato supporto allo stato ebraico, dall’altro bisogna ricordare la maggiore priorità strategica di Washington in area MENA, ossia il contenimento dell’Iran, priorità che necessita forzatamente del completamento del processo di pace arabo israeliano. Donald Trump potrebbe eventualmente decidere di impiegare la propria influenza sul Primo Ministro israeliano Netanyahu al fine di costruire uno Stato palestinese effettivo con l’obbiettivo di pervenire ad una completa normalizzazione dei rapporti tra Israele e I paesi arabi sunniti.
Biden grazia il figlio
Domenica sera, Joe Biden ha concesso la grazia presidenziale al figlio Hunter, accusato di frode fiscale e di aver mentito sull'acquisto di un'arma durante un periodo di dipendenza da droghe. La decisione, che copre i reati federali commessi tra il 2014 e il 2024, rappresenta un cambio di posizione significativo per il presidente, che in passato aveva dichiarato di voler rispettare il corso della giustizia: The Hill, del resto, lunedì ha riportato tutte le dichiarazioni rilasciate nel corso dell'ultimo anno, in cui l'inquilino della Casa Bianca aveva più volte ammesso di non voler garantire la grazia a suo figlio.
Tale decisione rappresenta un cambio di passo nella gestione della vicenda da parte del presidente, che in passato aveva affermato di non voler agire in tal senso rispettando il ruolo decisionale degli organi competenti. Nonostante questo, stando a quanto affermato da NBC News, ai suoi stretti collaboratori Biden aveva confidato come stesse meditando una scelta in questo senso già dallo scorso giugno. Secondo lui, le accuse rivolte nei confronti del figlio Hunter erano motivate esclusivamente da fini politici e volte soltanto a colpire la sua figura. Per Katie Rogers, corrispondente del New York Times per la Casa Bianca, la decisione sia stata influenzata dall’elezione di Trump e dalla sua promessa di utilizzare il Dipartimento di Giustizia contro gli avversari politici.
Hunter Biden aveva ammesso a settembre la propria colpevolezza per nove reati fiscali e rischiava pene fino a 17 anni di carcere per frode fiscale e 25 anni per le accuse legate alle armi. Biden avrebbe comunicato la decisione a Hunter durante il weekend del Ringraziamento trascorso con la famiglia a Nantucket. Non è la prima volta che un presidente utilizza il potere della grazia per un familiare: sia Bill Clinton sia Donald Trump hanno fatto scelte simili in passato.
La decisione di Biden ha suscitato reazioni contrastanti, soprattutto all’interno del Partito Democratico. Molti deputati e senatori moderati hanno criticato la grazia, definendola un abuso di potere che rischia di minare ulteriormente la fiducia degli americani nella giustizia e nelle istituzioni. Jason Crow, deputato del Colorado, ha accusato il presidente di aver infranto la promessa di non interferire nei procedimenti giudiziari, mentre Marie Gluesenkamp Perez, deputata di Washington, ha parlato di una giustizia "a due velocità". Anche alcuni senatori democratici hanno espresso preoccupazione. Michael Bennet (Colorado) ha dichiarato che Biden ha anteposto interessi personali al dovere istituzionale, mentre Jared Polis, governatore del Colorado e possibile candidato presidenziale per il 2028, ha definito la grazia un "precedente pericoloso" che potrebbe essere abusato in futuro.
Secondo il New York Times, in ogni caso, la frattura tra Biden e i Democratici non è nuova, ma ha radici negli ultimi mesi, in particolare durante l’estate, quando il partito ha spinto il presidente a ritirarsi dalla corsa elettorale per il 2024. La frustrazione è emersa in incontri a porte chiuse, dove i parlamentari hanno espresso dubbi sulla capacità di Biden di governare e sulla sua idoneità a competere contro Donald Trump. Questo deterioramento è stato aggravato dalla percezione che Biden fosse sempre più distante dai membri del Congresso, sia fisicamente che politicamente.
Nonostante le critiche, alcuni esponenti progressisti hanno difeso la scelta. Il senatore Richard Durbin (Illinois) ha descritto la grazia come un gesto "umano" e dettato dall’amore di un padre, mentre Peter Welch (Vermont) l’ha considerata comprensibile sul piano personale, ma inopportuna da quello istituzionale. Una reazione particolare, invece, è stata quella del Senatore Democratico della Pennsylvania John Fetterman. Quest'ultimo, spesso posizionato su politiche progressiste, nelle ultime settimane sta insistendo molto sulla necessità di riconquistare il sostegno della working-class che ha votato per Trump, ha chiesto a Biden di concedere la grazia anche al tycoon. In un'intervista a POLITICO, infatti, ha affermato come anche il procedimento giudiziario contro il prossimo presidente, così come quello nei confronti di Hunter Biden, fosse politicamente motivato.
Anche sulla stampa le reazioni sono state quasi esclusivamente critiche: Elie Honig, legal analyst della CNN, ha definito la grazia “uno storico atto di nepotismo politico”, mentre The Atlantic ha parlato della “imperdonabile ipocrisia di Biden”.
Le altre notizie della settimana
La posizione di Pete Hegseth, una delle nomine di Trump più discusse e a rischio di approvazione al Senato, continua ad essere delicata e in bilico. Un'email del 2018, scritta da sua madre e pubblicata dal New York Times, lo accusa di aver “abusato delle donne” e di avere una “mancanza di carattere”. Penelope Hegseth ha successivamente smentito le sue stesse parole, definendo l'email un gesto impulsivo dovuto al divorzio del figlio.
Hegseth è anche sotto accusa per un presunto caso di violenza sessuale nel 2017, che lui nega, dichiarando che l'episodio è stato consensuale. Al momento nessun senatore si è espresso in maniera diretta contro la sua nomina, ma sono diverse le figure che hanno sollevato perplessità a riguardo. Proprio per questo, la sua approvazione resta tutt'altro che scontata.
In Wisconsin, i sindacati dei lavoratori pubblici e degli insegnanti hanno ottenuto una significativa vittoria legale con il ripristino dei diritti di contrattazione collettiva aboliti nel 2011 dalla legge nota come Act 10. Quest'ultima aveva limitato drasticamente la possibilità di negoziare aumenti salariali e altri benefici, imponendo inoltre ai lavoratori costi più alti per l’assicurazione sanitaria e i fondi pensione.
La decisione del giudice della contea di Dane, Jacob Frost, equipara i sindacati dei dipendenti pubblici agli esentati dalla legge, come polizia e vigili del fuoco. I repubblicani, contrari alla sentenza, hanno annunciato un appello, puntando sull’importanza delle prossime elezioni della Corte Suprema statale, che potrebbe ribaltare la decisione.
Il futuro della maggioranza al Senato, John Thune, ha delineato un'agenda ambiziosa per il 2025: due reconciliation budget che permetteranno ai Repubblicani di evitare il filibuster democratico e approvare le misure che prevedono stanziamenti economici a maggioranza semplice. Il primo, previsto entro i primi 30 giorni, si concentrerà sulla sicurezza dei confini, inclusi fondi per completare il muro di Trump e rafforzare le agenzie di controllo migratorio. Il secondo, più complesso, estenderà i tagli fiscali dell’era Trump in scadenza a fine anno.
Tra le proposte discusse dai Repubblicani, anche l’aumento delle spese per la difesa convertite in spese obbligatorie, un modo per evitare negoziazioni con i Democratici su aumenti proporzionali per la spesa sociale. Altri temi includono il supporto all’energia domestica e la riduzione dei costi energetici.