I Dem potrebbero vincere molti governatori
I democratici in vantaggio nelle sfide per i governatori
Il prossimo 8 novembre, insieme alle elezioni per il rinnovo della Camera e di un terzo del Senato, molti americani saranno chiamati a scegliere i propri governatori: si tratta di una tematica particolarmente importante, visto che d’ora in poi le autorità alla guida degli stati potrebbero avere un potere enorme per quanto riguarda le possibilità di garantire il diritto d’aborto.
Già diversi mesi fa avevamo tracciato una panoramica sulle varie sfide: viste le novità dell'ultimo periodo, però, può essere particolarmente utile tornare sul tema, dal momento che lo scenario è cambiato notevolmente rispetto alle ultime settimane in favore dei democratici. Questi ultimi, ad esempio, sono in vantaggio in Arizona, dove Katie Hobbs è avanti nei sondaggi rispetto alla sfidante Kari Lake. Si sta consolidando il margine in favore del partito dell'asinello anche in Nevada, con Steve Sisolak che sta espandendo il divario rispetto a Joe Lombardo e viaggia dunque verso la rielezione.
Per i sondaggisti è considerata praticamente certa l'elezione di Josh Shapiro in Pennsylvania contro lo sfidante Doug Mastrino, in una corsa particolare perché mostra una serie di dinamiche che rischiano di penalizzare i repubblicani in questa tornata. In uno stato che poteva essere assolutamente contendibile, infatti, nelle primarie del GOP a spuntarla (spinto da Donald Trump) è stato un candidato noto per posizioni estremistiche e complottistiche, che si è alienato presto il voto degli elettori indipendenti e moderati, compromettendo di fatto le sue possibilità di vittoria.
Una situazione simile la si può trovare in Michigan, dove Gretchen Whitmer viaggia verso la rielezione contro Tudor Dixon, che proprio di recente in un'intervista televisiva ha rifiutato di rispondere ad una domanda in cui gli veniva chiesto se poteva ammettere che Biden avesse regolarmente vinto le elezioni del 2020. Stesso discorso in Massachusetts, dove Maura Healey sembra avere la strada spianata a seguito della nomina di Geoff Diehl nel GOP.
Più aperta la sfida in Wisconsin, dove i democratici (che hanno scelto Tony Evers come candidato) hanno un lieve vantaggio contro lo sfidante repubblicano Tim Michels. Combattuta anche la partita per il Maine, dove l'ex governatore repubblicano Paul LePage si trova ad inseguire rispetto alla favorita Janet Mills. In Minnesota e Colorado non dovrebbero esserci problemi per i democratici Tim Walz e Jared Polis contro i repubblicani Scott Jensen e Heidi Ganahal, mentre Oregon è accesa la partita fra la democratica Tina Kotek e la repubblica Christine Drazan.
Senza voler citare tutte le singole sfide rimanenti (molte delle quali di fatto già assegnate per i democratici o per i repubblicani) può essere utile segnalarne giusto alcune che, pur non apertissime, hanno assunto particolare rilevanza nazionale. Fra queste rientrano quelle della Georgia e della Florida: nella prima è in programma l'attesa sfida fra Brian Kemp e Stacey Abrams, con il primo in vantaggio, mentre nella seconda si sfideranno Ron DeSantis (fra i papabili per la corsa alla presidenza nel GOP) Charlie Christ. Grande rilevanza ha assunto anche la sfida fra il repubblicano Greg Abott (attualmente in carica) e Beto O'Rourke in Texas, con il governatore uscente che non dovrebbe avere problemi nell'ottenere la riconferma.
Il quadro che emerge, dunque, è sicuramente più favorevole ai democratici rispetto a quanto poteva apparire qualche settimana fa. Molti stati in bilico, infatti, sembrano ora tendere verso il partito dell'asinello, che ha scelto le figure giuste in molte corse (spesso mettendo figure moderate in zone con molti indipendenti) e che può sfruttare quello che potrebbe essere definito "effetto Trump", ovvero una serie di candidati spinti dall'ex presidente poco appetibili però in ambito elettorale.
Passi avanti per una riforma dell’Electoral Count Act
Sono stati compiuti numerosi passi avanti per la riforma dell'Electoral Count Act, la storica legge emanata nel 1887 che regola le procedure formali per certificare il risultato elettorale dopo il voto. La decisione di agire in tal senso è stata assunta come conseguenza delle vicende seguite alla tornata del 2020, quando l'allora presidente Donald Trump arrivò a non riconoscere il risultato, alimentando la rabbia dei suoi seguaci che, il 6 gennaio 2021, assaltarono il Congresso provocando morti e feriti.
Alle modifiche di questa norma lavorano da tempo senatori di entrambi i partiti, con alcuni punti fermi al centro delle discussioni. Anzitutto la modifica del ruolo del vicepresidente, le cui funzioni in materia non sono definite in maniera chiara: il suo ruolo dovrebbe essere riconosciuto come meramente formale, togliendo dunque ogni potere per rovesciare il risultato delle urne. Verrà inoltre alzata la soglia che permette ai membri del Congresso di contestare l'esito del voto, dal momento che, attualmente, basta un solo membro in entrambe le camere per mettere in discussione il verdetto di un singolo stato.
Queste, dunque, le riforme sostanziali di un progetto di legge che, come detto in apertura, ha ottime possibilità di essere approvato. Queste chance sono cresciute negli ultimi giorni, in virtù di due importanti novità. La prima riguarda l'approvazione da parte del Senate Rules Committee, che permetterà alla misura di arrivare nella Upper House dopo le midterm, con la senatrice Susan Collins che ha auspicato l'approvazione definitiva entro la fine dell'anno.
La seconda novità importante è relativa all'appoggio che il leader dell'opposizione Mitch McConnell ha dato alla misura. Nonostante il suo supporto, però, non tutto il partito è schierato a favore dell'approvazione. Una buona parte dei senatori, infatti, si è dichiarata contraria alla legge, mostrando ancora una volta la spaccatura fra l'ala più vicina a Donald Trump e quella meno in linea con l'ex presidente. Come ha sottolineato il Washington Times, il voto finale potrà essere un vero e proprio banco di prova per verificare la presa che il tycoon ha sul partito, anche in vista di una possibile candidatura alle presidenziali del 2024.
L'Ucraina chiede di aderire alla NATO, USA tiepidi
La dichiarazione con cui il presidente dell'Ucraina Volodymyr Zelensky ha annunciato la richiesta di adesione del paese alla NATO è stata una sorpresa per l'amministrazione presidenziale statunitense, stando a quanto riportato da Politico. La questione è considerata particolarmente scottante alla Casa Bianca, dal momento che un eventuale ingresso obbligherebbe gli Stati Uniti a partecipare in maniera diretta alle guerre che coinvolgerebbero il paese.
Politico rileva inoltre come le opinioni al Congresso degli Stati Uniti sulla decisione dell'Ucraina di richiedere l'ammissione alla NATO nell'ambito della richiesta di procedura accelerata siano piuttosto divergenti. La Speaker della Camera dei Rappresentanti Nancy Pelosi, ad esempio, ha evitato una risposta diretta alla domanda riguardante la questione, dicendo solamente di essere a favore delle garanzie di sicurezza per Kyiv.
Il Consigliere Nazionale per la Sicurezza Nazionale Jake Sullivan ha invece affermato: "Questo è ciò per cui è stata creata la NATO: impedire a uno Stato autoritario di distruggere un Paese democratico", afferma. La proposta dell'Ucraina di entrare a far parte della NATO dovrebbe essere presa in considerazione "in un altro momento". Gli Stati Uniti, in ogni caso, hanno condannato duramente le ultime dichiarazioni provenienti da Mosca, comprese quelle con cui Putin ha certificato l'annessione di alcuni territori russi e quelle in cui il presidente russo ha minacciato l'Occidente sventolando lo spettro della bomba atomica.

Evitato uno shutdown federale, il GOP “contro” Manchin
In settimana il congresso ha approvato un finanziamento federale volto a definire i piani di spesa dell'amministrazione, evitando in extremis uno shutdown e garantendo i fondi fino al prossimo 16 dicembre. L'ostacolo principale era quello relativo all'inserimento, nel pacchetto, di una proposta voluta dal senatore della West Virginia Joe Manchin, che avrebbe garantito nuovi permessi per le estrazioni di gas, avversata sia da una parte del Partito Democratico, sia da alcune aree di quello Repubblicano.
Questa misura è stata momentaneamente esclusa, anche se potrebbe tornare al centro delle discussioni in virtù di un accordo fra Manchin e il leader democratico al Senato Chuck Schumer, con cui il senatore della West Virginia aveva promesso di votare a favore del pacchetto anti-inflazione, ricevendo la promessa che anche questo provvedimento sarebbe poi passato.
L’esclusione è stata resa possibile anche dalla presa di posizione del Partito Repubblicano, che ha fatto di tutto per evitare di regalare a Manchin una vittoria politica. I senatori del GOP, infatti, sono ancora furiosi con il collega per aver permesso l’approvazione del sopracitato pacchetto democratico.

Le altre notizie della settimana
Un violentissimo uragano si è abbattuto sulla Florida, creando danni incalcolabili. Più di 10 milioni di persone, infatti, sono rimaste senza elettricità, tanti hanno visto case e proprietà distrutte, con molte aree dello stato fortemente danneggiate. Le vittime, al momento, sono almeno dodici.
All'interno del Partito Democratico è sorto un po' di malumore per la mancata approvazione di una misura che impedirebbe ai membri del congresso di investire nei mercati finanziari, una priorità per buona parte della base.
Gli Stati Uniti hanno sanzionato alcune compagnie in Cina, India, Hong Kong ed Emirati Arabi Uniti che sono accusate di aver aiutato l'Iran. La mossa di Biden, indubbiamente, andrà a complicare i colloqui con l'Iran per rimettere in piedi l'accordo sul nucleare del 2015.
In Virginia decine di studenti hanno scelto di protestare contro la scelta portata avanti dal governatore repubblicano Glenn Youngkin, che ha proposto una serie di policies che restringeranno alcune delle concessioni precedentemente fatte verso la comunità transgender.
Secondo una stima fatta dal Congressional Budget Office, il piano di Biden per condonare parte dei debiti accumulati dagli studenti costerà circa 400 miliardi di euro.