I numeri dietro la vittoria di Donald Trump
Donald Trump ha vinto, ma come? Abbiamo analizzato nel dettaglio i risultati del voto per studiare i motivi del successo
Donald Trump ha vinto le elezioni. Poteva essere tutto sommato prevedibile, visto che i sondaggi della vigilia mostravano una situazione equilibrata e i dati dell’early vote erano favorevoli al tycoon. Nonostante questo, i margini di vittoria sono sicuramente superiori alle attese: il Partito Repubblicano, oltre ad aver avuto la meglio nel voto popolare, ha conquistato tutti e sette gli swing states, in alcuni casi anche con ampio margine. In Arizona, quando lo spoglio è ancora in corso, il GOP ha ben sei punti di vantaggio, che diventano tre in Nevada e North Carolina, due in Georgia e Pennsylvania, 1.4 in Michigan e meno di uno in Wisconsin.
Ancor più impressionante, però, è vedere il modo in cui sono andati verso i Repubblicani gli stati che non erano considerati in bilico. Trump ha recuperato quattro punti in New Hampshire, cinque in Virginia, otto in Illinois, addirittura undici a New York e in California. Nel complesso, come mostra la mappa sottostante che avevamo pubblicato anche nella newsletter pubblicata subito dopo il voto, tutto il paese si è spostato notevolmente a destra. Ma, per vedere come questo sia avvenuto, è necessario scendere più nel dettaglio dell’analisi.
Grafico del New York Times
I fattori principali che hanno portato alla vittoria di Donald Trump sono stati l'immigrazione e l'economia, considerati motivi determinanti in quasi tutti gli exit poll. Sul primo fronte, Harris ha pagato il prezzo dell'alto tasso di inflazione degli ultimi anni, mentre sul secondo le risposte del tycoon sono state percepite come più credibili. Tuttavia, va sottolineato che questi dati rappresentano solo una prima interpretazione di fenomeni complessi, che col tempo potranno essere analizzati con maggiore chiarezza.
L’analisi del voto
Nell’analizzare il voto, forse può essere utile partire da un dato di per sé esplicativo: non c’è nessuna contea nell’intero paese nella quale Kamala Harris abbia fatto meglio di Biden con un margine di almeno tre punti. Trump, d’altro canto, ha aumentato i suoi voti rispetto al 2020 nell’89% delle contee. In particolare, i Repubblicani hanno recuperato in tutti quei settori di elettorato che dovevano essere favorevoli ai Democratici. Si prendano ad esempio le aree urbane e suburbane: nelle prime Trump ha guadagnato ben 5,2 punti rispetto al 2020, nelle seconde 4,3.
Le aree prevalentemente bianche, che già di per sé votavano in maniera compatta per i Repubblicani, si sono spostate ulteriormente a destra: l’analisi del voto anticipato, del resto, già mostrava come nell’elettorato del GOP ci fosse particolare entusiasmo e una propensione a portare alle urne anche gli indecisi. Ma anche lo studio degli altri gruppi demografici conferma questi trend sfavorevoli per i Democratici. Si prendano ad esempio le donne, che rappresentavano uno degli elementi centrali della campagna di Kamala Harris.
Se Donald Trump ha incentrato tutto il suo discorso rivolgendosi soprattutto agli uomini, frequentando gli eventi sportivi e affiancandosi a star prevalentemente maschili, la sua sfidante puntava molto sul voto femminile, anche per la questione delicata dell’aborto. I risultati, invece, hanno mostrato una situazione diversa. Stando ai numeri degli exit poll pubblicati da Fox News, rispetto al 2020 Donald Trump ha addirittura guadagnato leggermente consensi fra le elettrici, passando dal 43% al 46%. Nello specifico, il calo maggiore per i Dem è stato fra le donne al di sotto dei 44 anni, in cui Kamala Harris è passata dal 61% preso da Biden quattro anni fa al 55% attuale.
L’altro aspetto da notare è vedere come sia cambiato il voto degli elettori in base al loro livello di istruzione. Trump ha ampliato ulteriormente il suo margine nelle fasce meno educate, che già votavano a suo favore, ma ha guadagnato leggermente anche nei laureati. L'unica eccezione è relativa alle persone con dottorato.
L’ultimo aspetto interessante è vedere come Trump abbia conquistato consensi fra le minoranze. Il GOP ha guadagnato leggermente fra i neri e ispanici: i primi sono passati da +83 per Biden del 2020 al +67 di quest’anno, mentre nei secondi si è passato da +31 a +14. Questo è un trend che si vede da diversi anni e che ha contribuito allo spostamento a destra di alcuni stati come la Florida. Fenomeni come questo hanno sicuramente una serie diversa di cause: da un lato, soprattutto per gli ispanici che vivono al confine, l’immigrazione è vista sempre più come un problema, soprattutto in quelle comunità ormai integrate che temono di perdere diritti acquisiti. D’altro canto una piccola parte dell’elettorato nero ha posizioni maggiormente conservatrici, e potrebbe non aver visto di buon occhio lo spostamento a sinistra operato dai Democratici.
Grafico del Washington Post
Per quanto riguarda la Florida, emblematico è il caso della contea di Miami-Dade, la più popolosa dello stato e la settima di tutti gli Stati Uniti. Qui, quasi il 70% degli abitanti è ispanico, principalmente di origine cubana. Alle elezioni del 2016, Hillary Clinton vinse con un'ampia maggioranza, superando Donald Trump di trenta punti. Tuttavia, in questa tornata, è stato il tycoon a prevalere, con ben dodici punti di vantaggio su Kamala Harris. Una dinamica simile si è verificata nelle contee ispaniche del Texas: nella Starr County, situata al confine con il Messico e con una popolazione latina del 97%, si è passati dal 79% di voti a favore di Hillary Clinton nel 2016 a un successo del GOP in questa tornata.
Nel complesso, in ogni caso, tutte le contee americane che si trovano al confine hanno visto un sostanziale spostamento a destra, maggiore rispetto al resto dello stato, segno del ruolo primario avuto in questa tornata dal tema immigrazione. Secondo gli exit poll, tale questione è stata vista come la seconda più importante dopo l’economia, e quella più sentita dagli elettori di Donald Trump.
Un ultimo aspetto da rilevare può essere l’analisi del voto in base al reddito: il GOP ha avuto la meglio sia nelle fasce più povere che in quelle di reddito medio, mentre Harris ha vinto solo nell'elettorato con un guadagno superiore ai 100.000 euro annui.
Un fenomeno particolare. Il voto giovanile
Abbiamo già visto come Kamala Harris si sia rivolta con attenzione a donne e minoranze, ma in entrambi i casi è andata decisamente peggio rispetto alle attese. Il terzo gruppo verso cui ha indirizzato i suoi sforzi sono invece i giovani: come mostra il grafico sottostante, anche in questo caso si registra uno swing notevole a favore del GOP. Ad eccezione della Georgia, infatti, Trump ha guadagnato terreno in tutti gli stati decisivi, con margini particolarmente marcati nel Midwest.
Secondo un sondaggio dell'Università di Chicago, mentre il 79% degli elettori under 40 affermava di conoscere già sufficientemente Trump, solo il 57% diceva lo stesso di Harris. John Della Volpe, esperto di politica giovanile, sottolinea come molti giovani percepivano come le proprie finanze personali sarebbero state migliori sotto una presidenza Repubblicana.
Un altro aspetto rilevante è stato il divario di genere tra i giovani elettori: Trump ha ottenuto il 56% dei voti tra gli uomini, segnando un notevole incremento rispetto al 41% del 2020. Questo suggerisce un disallineamento crescente tra i giovani maschi e il Partito Democratico, percepito come distante dalle loro esigenze. D'altra parte, Harris ha ottenuto un buon risultato tra le donne under 40, superando Trump di 18 punti, sebbene con un margine inferiore rispetto a quattro anni prima.
La crisi delle identity politics
Un altro aspetto importante di queste elezioni è relativo alla crisi delle “identity politics”. Come sottolinea questo articolo di Noah Smith, negli anni 2010 alcuni studiosi avvertivano come trattare l'elettorato americano considerandolo un insieme di collettivi razziali separati avrebbe minato la democrazia. Al contrario, esponenti progressisti come Stacey Abrams sostenevano che tutta la politica fosse in realtà centrata sull'identità e che i Democratici dovessero quindi continuare a concentrarsi su appelli in questo senso. Le elezioni del 2024 hanno mostrato, invece, che molti elettori ispanici e asiatici non apprezzano di essere considerati in base al gruppo razziale a cui si presume appartengano.
Un esempio di fallimento di questa strategia è l'uso del termine "Latinx", inteso come un'etichetta inclusiva per persone non binarie o trans, che ha invece alienato molti ispanici. Una ricerca ha dimostrato come questi elettori siano meno propensi a sostenere politici che utilizzano tale parola. La spiegazione più semplice è che questa etichetta sembra loro imposta, creando una separazione artificiale dalla comunità americana generale.
Inoltre, alcuni dati mostrano come un aspetto degli immigrati ispanici sia proprio la voglia di condividere il Sogno americano e prendervi parte: proprio per questo negli ultimi anni il tasso di crescita economica è superiore agli altri gruppi, così come si è vista una particolare mobilitazione sociale, attraverso lo studio e la creazione di impresa, fattore che rende complesso trattare loro come marginalizzati.
Trump ha guadagnato voti o meno persone hanno votato Harris?
Per comprendere le dinamiche del voto, può essere possibile porre un’altra domanda. È Donald Trump ad aver guadagnato voti o semplicemente meno persone hanno sostenuto i Democratici, magari non andando alle urne, perché poco convinti dalla candidata? Da questo punto di vista alcuni dati interessanti, almeno sul Midwest, possono permetterci di avere una risposta. In Wisconsin, ad esempio, Kamala Harris ha ottenuto 37.000 voti in più rispetto a Biden, ottenendo in termini assoluti il miglior risultato per un Democratico dai tempi di Obama. Il problema, per lei, è che Donald Trump ne ha avuti ulteriori 77.000, massimizzando il suo consenso e vincendo lo stato.
Anche in Pennsylvania e Michigan Harris è andata abbastanza vicina ai voti ottenuti da Biden nel 2020: se Trump avesse preso qui gli stessi consensi di quattro anni fa, avrebbe perso. Invece il tycoon ne ha aggiunti rispettivamente 108.000 e 151.000. Lo stesso è avvenuto in Georgia, dove i Democratici hanno fatto meglio rispetto a quattro anni fa. I voti persi, che hanno fatto sì che la candidata finisse dietro nel voto popolare, sono arrivati soprattutto in stati non in bilico. Lo spostamento a destra della Florida ha aiutato Trump, ma anche il calo di Harris a New York e in California ha influito.
Nel complesso, del resto, in tutti gli swing states l’affluenza è stata superiore rispetto a quella record del 2020, mentre questa è calata altrove e ha sfavorito Harris: in California e a New York, ad esempio, il turnout è sceso di quasi tre punti. Con ogni probabilità un elettorato Democratico non convinto della sua candidata ha preferito restare a casa dove non contava molto, mentre nei luoghi decisivi si è comunque mobilitato per fermare Trump.
I Repubblicani vincono Camera e Senato
Oltre ad aver vinto la Casa Bianca, il Partito Repubblicano ha conquistato la maggioranza al Senato e, con ogni probabilità, lo farà anche alla Camera dei Rappresentanti: qui però lo spoglio di alcuni seggi è ancora in corso ed è presto per avere un quadro completo di come finirà. Nella Upper House, il risultato finale dovrebbe essere 53-47 a favore del GOP, che strappa ben quattro scranni ai Democratici. Uno di questi era pressoché scontato: con il ritiro di Joe Manchin, per il Partito che attualmente detiene la maggioranza era impossibile difendere la West Virginia, in cui Trump ha ottenuto il 70% dei voti alle presidenziali.
I Repubblicani hanno vinto anche in Montana e Ohio, due stati tradizionalmente controllati dal GOP, dove però i senatori uscenti erano Democratici: Jon Tester e Sherrod Brown. Quest'ultimo ha ottenuto risultati migliori di Kamala Harris, ma non è comunque riuscito a vincere. L'ultimo stato a cambiare schieramento sarà la Pennsylvania: sebbene il risultato non sia ancora ufficiale, il Repubblicano McCormick sembra destinato a sconfiggere il Democratico Bob Casey.
I Democratici vincono invece in Nevada e Arizona, dove erano dati ampiamente avanti nei sondaggi, ma in cui il margine di successo sarà comunque risicato. Alla Camera non c'è ancora un quadro certo, ma è altamente probabile che i Repubblicani manterranno una maggioranza di quattro o cinque seggi.