Il caso Epstein ha spaccato la base trumpiana
Nel nostro approfondimento settimanale parliamo delle polemiche nella base del GOP sul caso Epstein
Nel corso dell’ultima settimana la base conservatrice fedele a Trump si è divisa sulla gestione dei cosiddetti Epstein files. Anche se la questione sembra rientrata, e gli ultimi sondaggi vedono leggermente in risalita il tycoon nel mondo conservatore dopo una lieve flessione, ha rappresentato comunque la prima vera frattura nel mondo che da tempo guarda al presidente come un vero e proprio idolo.
Chi era Epstein e cosa sono gli "Epstein files”?
Jeffrey Epstein, finanziere newyorkese, è diventato simbolo di uno scandalo globale che intreccia sesso, potere e impunità. Dopo un primo arresto nel 2006 per abusi sessuali su minori, riuscì a ottenere un patteggiamento clamorosamente favorevole: solo 13 mesi di detenzione, con permessi giornalieri. Il suo caso sembrava archiviato, almeno fino al 2019, quando venne arrestato nuovamente con l’accusa di traffico sessuale di decine di ragazze, alcune appena quattordicenni. Le indagini rivelarono che Epstein sfruttava l’aiuto della sua compagna, Ghislaine Maxwell, per reclutare le vittime con la promessa di denaro e protezione. Maxwell, oggi condannata a 20 anni, era il suo braccio operativo. Poco dopo l’arresto, Epstein fu trovato morto nella sua cella di Manhattan: suicidio, secondo la versione ufficiale, ma le circostanze — telecamere spente, controlli mancati — sollevarono immediatamente dubbi.
I sospetti sono alimentati anche dalla rete di contatti che Epstein aveva costruito: capi di Stato, miliardari, reali europei. Donald Trump, Bill Clinton, il principe Andrea figurano tutti, sebbene in modi diversi, nella sua cerchia. La scoperta degli "Epstein files", archivi dell’FBI e del Dipartimento di Giustizia parzialmente desecretati durante l’amministrazione Trump, ha alimentato l’interesse e l’indignazione pubblica. Questi documenti includono log di voli privati, liste di contatti, prove audiovisive sequestrate. Ma secondo le autorità, non esisterebbe alcuna “lista clienti” in grado di dimostrare il coinvolgimento diretto di personaggi noti nei crimini. Iniziali affermazioni che lasciavano intendere il contrario sono state poi smentite, facendo crescere i sospetti di un tentativo deliberato di proteggere figure influenti. Molte richieste di accesso ai file sono state ignorate o rinviate a tempo indefinito.
Il caso Epstein ha finito per incarnare il terreno fertile delle teorie del complotto moderne: un uomo ricchissimo che sfugge alla giustizia per anni, una morte inspiegabile in prigione, e una rete di amici potenti che nessuno sembra voler toccare. L’opacità delle indagini e le inversioni di rotta sul fronte della trasparenza hanno alimentato la convinzione che dietro ci sia qualcosa di più grande. Movimenti come QAnon e Pizzagate hanno fatto del caso un emblema della loro narrativa dell'élite globale corrotta e pedofila. Il dibattito pubblico si è polarizzato: i conservatori puntano su Clinton, i progressisti su Trump. In mezzo, una verità mai chiarita del tutto.
Il legame fra Epstein e Donald Trump
Donald Trump ed Epstein si sono frequentati per anni nei circoli dell’alta società tra New York e Palm Beach. Negli anni ’90 e primi 2000, Epstein partecipava regolarmente alle feste del club privato di Trump, e i due erano spesso fotografati insieme. In un’intervista del 2002, Trump definì Epstein “un tipo fantastico”, aggiungendo che “ama le belle donne quanto me, e molte di loro sono piuttosto giovani”. Tuttavia, nel 2004 i due si allontanarono, pare per una disputa immobiliare. Successivamente, Trump avrebbe anche bandito Epstein dal suo resort, anche se i dettagli non sono mai stati chiariti. È documentato che Trump volò almeno sette volte sul jet privato di Epstein, anche se non ci sono prove che abbia visitato la discussa isola dei Caraibi, nota per gli abusi. Questa ambiguità — tra frequentazioni note e prese di distanza pubbliche — alimenta il sospetto che il rapporto tra i due sia stato più profondo di quanto Trump voglia ammettere.
Durante la sua prima presidenza e ancora in campagna elettorale, Trump promise a più riprese che avrebbe reso pubblici tutti i documenti relativi al caso Epstein. Tuttavia, le sue azioni in carica hanno deluso molti sostenitori. Il materiale declassificato finora non ha fornito risposte chiare, alimentando le accuse di insabbiamento. Molti sostenitori del presidente, del resto, avevano interpretato il suo ritorno alla Casa Bianca come la promessa implicita di fare luce su un caso che da anni alimenta teorie del complotto nella destra americana, visto che figure vicine al movimento MAGA sostengono da tempo che Epstein sia stato ucciso per impedire la divulgazione di informazioni compromettenti su personalità potenti.
A sorpresa, anche alte figure istituzionali del Partito repubblicano hanno chiesto trasparenza. Mike Johnson, presidente della Camera dei deputati, ha dichiarato il 15 luglio di essere favorevole a rendere pubblici tutti i documenti, “per lasciare che sia la gente a decidere”. In un’intervista al podcaster conservatore Benny Johnson, ha insistito: “Dovremmo tutto mettere sul tavolo.” Pur difendendo Pam Bondi dalle richieste di dimissioni, ha lasciato intendere che l’attuale gestione non soddisfa una parte importante della base elettorale.
Perché se ne parla oggi?
La questione si è riaccesa in modo veemente lo scorso 7 luglio, quando un documento pubblicato dal Dipartimento di Giustizia ha negato l’esistenza di una “lista di clienti” compromettenti e confermato la tesi del suicidio di Epstein, archiviando l’ipotesi di ricatti esercitati su figure di rilievo. Questo ha riacceso le polemiche nel mondo conservatore: la reazione più forte è arrivata l’11 e il 12 luglio a Tampa, in Florida, durante un raduno organizzato dal movimento conservatore Turning Point USA, guidato da Charlie Kirk. Il ritrovo della giovane base trumpista si è rapidamente trasformato in una contestazione aperta contro la procuratrice generale Pam Bondi, nominata dal presidente Donald Trump, accusata di mancanza di trasparenza e di voler mettere a tacere l’affaire.
Il malcontento è stato amplificato da figure di spicco come Megyn Kelly, Tucker Carlson e James O’Keefe, che hanno denunciato un tentativo deliberato di proteggere le élite compromesse. Il gesto simbolico — la consegna alla Casa Bianca di alcuni dossier rivelatisi già pubblici — ha contribuito a rafforzare l’idea di un insabbiamento. Questo si è tradotto anche nelle prime vere esplicite critiche da parte della base conservatrice contro Donald Trump, tant’è che la CNN ha sottolineato come questa sia la prima teoria del complotto alimentata dal tycoon che si è rivolta poi contro di lui una volta alla Casa Bianca. Megyn Kelly, invece, ha definito la vicenda “il primo grande scandalo dell’amministrazione Trump”, avvertendo del rischio politico in vista delle midterm del 2026. Per Tucker Carlson, il memorandum rappresenta un’ulteriore prova del disinteresse del governo verso le preoccupazioni dell’elettorato MAGA. L’ex conduttore di Fox News ha rilanciato sospetti sull’intervento di un servizio segreto straniero — in particolare il Mossad — nel controllo di Epstein, una teoria cospirazionista che circola da tempo negli ambienti dell’estrema destra americana.
L’entità della contestazione ha costretto lo stesso Donald Trump a intervenire. Il 12 luglio, il presidente ha usato Truth Social, la piattaforma diventata megafono ufficiale della Casa Bianca, per difendere Pam Bondi. “Che sta succedendo con i miei ‘ragazzi’ — e in certi casi le mie ‘ragazze’? Tutti contro la procuratrice generale Pam Bondi, che sta facendo un LAVORO FANTASTICO!”, ha scritto, cercando di ricompattare il fronte interno. Il messaggio riflette l’insofferenza del presidente per qualsiasi perdita di controllo sul racconto della sua presidenza, tanto più a ridosso del primo anniversario dell’attentato fallito di Butler, in Pennsylvania, rievocato come “intervento divino” da molti oratori del raduno. Questo si è inserito in un clima di crescenti tensioni nella base, dove il sostegno a Trump inizia a subire qualche piccola incrinatura, anche tra i suoi fedelissimi online. Sul forum The Donald, un tempo roccaforte del trumpismo più radicale, molti utenti hanno espresso frustrazione per la gestione del caso, vista come l’ennesima promessa tradita. La rabbia si estende anche ad altri temi sensibili, come immigrazione, politica estera e trasparenza governo.
L’ultima polemica riguarda un articolo del Wall Street Journal che attribuisce a Donald Trump una lettera dal contenuto osé scritta nel 2003 per il compleanno di Jeffrey Epstein. Trump ha reagito con una causa per diffamazione da 10 miliardi di dollari contro il giornale e Rupert Murdoch, accusandoli di aver “inventato” la storia per danneggiarlo politicamente. Secondo il quotidiano, la nota si troverebbe in un album realizzato per Epstein, accompagnata da un disegno di donna nuda che sarebbe opera dell’ex presidente. Trump ha smentito con forza ogni coinvolgimento e, per rafforzare la sua posizione, ha ordinato alla procuratrice generale Pam Bondi di chiedere la pubblicazione dei documenti del grand jury sul caso Epstein. L’iniziativa ha parzialmente ricompattato il suo fronte, ottenendo il sostegno di figure come Elon Musk e J. D. Vance, ma il malcontento nella base MAGA, già diffusa su più fronti, resta forte e alimentato da dubbi sulla trasparenza dell’intera vicenda.
Le altre notizie della settimana
La Camera ha approvato il Clarity Act, la prima legge federale per regolamentare le criptovalute, fortemente sostenuta da Donald Trump. Il provvedimento, che ora passa al Senato, punta a fornire regole certe a un settore in crescita ma segnato da truffe e scandali. Fa parte di un pacchetto di tre leggi che include anche norme sui stablecoin e il divieto per il governo di emettere una propria criptovaluta. Il bitcoin ha subito toccato un nuovo record di 123.205 dollari. Critiche dai democratici, che temono scarsa tutela per gli investitori e segnalano possibili conflitti di interesse: Trump è legato a più start-up del settore e avrebbe raddoppiato la sua fortuna personale in pochi mesi.
La Casa Bianca ha comunicato che il presidente Donald Trump soffre di insufficienza venosa cronica, una condizione circolatoria comune negli anziani che causa gonfiori agli arti inferiori. Gli esami hanno escluso complicazioni gravi come trombosi o malattie arteriose, e il quadro clinico è stato definito “benigno”. I medici raccomandano calze elastiche, esercizio fisico e dieta. Trump, 79 anni, è il presidente più anziano nella storia degli Stati Uniti e continua a definirsi “in piena forma”. La Casa Bianca ha anche smentito voci su possibili problemi di salute, spiegando che le ecchimosi sulle mani sono dovute a strette di mano frequenti e all’uso di aspirina a scopo preventivo.
L’Unione Europea sta tentando di evitare i dazi statunitensi del 30% previsti dal 1° agosto. Il commissario europeo Maros Sefcovic è volato a Washington per negoziare con l’amministrazione Trump, ma i segnali dalla Casa Bianca sono poco incoraggianti. Trump ha rivendicato un accordo già chiuso, mentre il Tesoro ha definito l’imposizione dei dazi una “opportunità generazionale”. Bruxelles ha offerto concessioni su energia e investimenti, ma rifiuta modifiche alle regole su tech e contenuti online. In caso di rottura, l’UE è pronta a rispondere con contromisure commerciali. Trump, però, ha liquidato la minaccia con tono sprezzante, alimentando l’ipotesi di una nuova escalation commerciale.
Il Senato USA ha approvato un taglio da 9 miliardi di dollari ai finanziamenti federali, voluto da Trump, colpendo tra gli altri il Public Broadcasting Service, la National Public Radio e gli aiuti esteri. La misura ha ottenuto 51 voti favorevoli, tutti repubblicani tranne due, mentre i democratici hanno tentato senza successo di bloccarla con numerosi emendamenti. Il pacchetto dovrà ora passare alla Camera per l’approvazione finale. I democratici temono che Trump possa chiedere ulteriori tagli, mettendo a rischio gli accordi bipartisan necessari per evitare la chiusura del governo a settembre.
Il presidente Trump ha annunciato un nuovo accordo con la NATO per la fornitura di miliardi di dollari di armi all’Ucraina, finanziate dai Paesi membri e acquistate dagli Stati Uniti. Tra le forniture previste ci sono 17 sistemi di difesa aerea Patriot, che inizieranno ad arrivare entro pochi giorni. Trump ha sottolineato che i costi saranno coperti dagli alleati, non dai contribuenti americani.
Durante l’incontro con il Segretario Generale della NATO, Mark Rutte, Trump ha lanciato un ultimatum alla Russia: cessare le ostilità entro 50 giorni o subire dazi del 100% sulle esportazioni verso gli USA, oltre a sanzioni per chi continua ad acquistare petrolio russo. Rutte ha evidenziato l’importanza dell’accordo e ha fornito stime sulle perdite russe, dichiarando che dal gennaio 2025 sono morti circa 100.000 soldati russi. L’annuncio segna un cambio di tono di Trump, più allineato con la posizione della NATO e con un sostegno più deciso all’Ucraina, pur lasciando aperta una finestra per la diplomazia.