Il dibattito politico sull'invio di armi a Israele
Nel numero di questa settimana parliamo del dibattito politico sull'invio di armi a Israele e sul processo nei confronti di Trump
Biden e lo stop delle armi verso Israele
La giornata di mercoledì potrebbe divenire una data importante nella storia dei rapporti fra Stati Uniti e Israele. Il presidente Biden ha infatti affermato che il suo paese potrebbe stoppare l’invio di armi offensive qualora Benjamin Netanyahu dovesse decidere lanciare una invasione su larga scala nella città di Rafah, dove hanno trovato rifugio migliaia di sfollati nella striscia di Gaza.
Già nelle scorse settimane, del resto, Biden aveva trattenuto 1.800 bombe da 2.000 libbre e 1.700 bombe da 500 libbre che temeva potessero essere sganciate su Rafah. La decisione presa nelle ultime ore ha provocato la reazione di diversi esponenti nel mondo politico americano. Il leader della minoranza al Senato Mitch McConnell ha criticato il presidente, sottolineando come non spetti agli Stati Uniti “dire a Israele come debba condurre questa guerra”. Il senatore Lindsey Graham ha invece affermato che tale decisione potrebbe minare alla stabilità del medio oriente.
Diverse critiche sono arrivate anche dall’interno del mondo Democratico. Un gruppo di 26 deputati ha infatti inviato una lettera, affermando: “Siamo profondamente preoccupati per il messaggio che l’amministrazione sta inviando a Hamas e ad altri terroristi appoggiati dall’Iran”. Il portavoce del Dipartimento di Stato Matt Miller, rispondendo nella giornata di giovedì a una domanda sulla vicenda, ha affermato: “Il nostro approccio risponde ai fatti sul terreno. Abbiamo chiarito fin dall'inizio di questo conflitto che volevamo vedere Israele sconfiggere Hamas”.
“Volevamo vedere Israele smantellare Hamas e impedire la sua capacità di lanciare attacchi terroristici come quello del 7 ottobre”, ha proseguito ancora Miller. “In larga misura questo obiettivo è stato raggiunto. Ora però dobbiamo rispondere anche all'aumento del numero di vittime civili e, sebbene abbiamo visto diminuire il conteggio quotidiano a causa delle misure adottate da Israele che abbiamo sollecitato, non è stato sufficiente".
"Non abbiamo mai negato la possibilità di operare a Rafah", ha affermato ancora John F. Kirby, portavoce per la sicurezza nazionale della Casa Bianca. "Ciò che abbiamo detto loro è che il modo in cui lo fanno conta e che non supporteremo un'operazione terrestre importante e un'invasione che si abbatte su Rafah con, sapete, molteplici divisioni di forze in modo goffo e indiscriminato".
Ma cosa dicono, a riguardo, i sondaggi? Una rilevazione effettuata da Economist/YouGov rivela come l’appoggio per Israele sia decisamente superiore rispetto a quello per la causa palestinese. Per i primi parteggia infatti il 32 per cento degli americani, mentre per i secondi solamente il 15. Il 30 per cento è invece equidistante fra le parti, mentre un restante 23 ha preferito non esprimersi sulla vicenda. Il rapporto si capovolge, però, se si prendono in considerazione gli elettori under 30, i cui due terzi sono a favore della Palestina.
Prosegue il processo contro Trump
Sta proseguendo il procedimento giudiziario contro Donald Trump, condotto da una corte di Manhattan. L'inchiesta riguarda un presunto pagamento effettuato nel 2016 alla pornostar Stormy Daniels per acquistare il suo silenzio riguardo a un presunto rapporto sessuale avuto con Trump circa dieci anni prima. L'accusa sostiene che questo pagamento sia stato effettuato in modo illegale, violando le normative sul finanziamento delle campagne elettorali.
Nella giornata di lunedì il giudice Juan M. Merchan ha minacciato di spedire Donald Trump in prigione qualora questo avesse continuato a violare il gag order impostogli, secondo il quale all’ex presidente è proibito parlare pubblicamente del processo e del lavoro dei giudici durante il corso dei lavori. In particolar modo, Merchan si riferiva alla decima violazione di questo ordine fatta dal tycoon in un'intervista rilasciata lo scorso 22 aprile, in cui ha definito la giuria “puramente di area Democratica”.
Lunedì, inoltre, sono emersi nuovi dettagli sui meccanismi dei pagamenti di rimborso effettuati da Donald Trump. Jeffrey McConney, l'ex responsabile del controllo aziendale presso la Trump Organization, ha dichiarato che il rimborso effettuato da Cohen, pagato in diverse rate, proveniva inizialmente da un fondo fiduciario di Trump e successivamente dal conto personale dell'ex presidente.
La testimonianza più importante, però, è stata senza dubbio quella della stessa Stormy Daniels, che ha confermato di aver avuto una relazione sessuale con Donald Trump nel 2006. Daniels ha inoltre affermato di ricevuto 130.000 dollari alla fine della campagna presidenziale del 2016 per tacere sulla vicenda, un pagamento al centro del caso.
Secondo la sua testimonianza, Daniels incontrò Trump in un hotel del Nevada nel 2006. Lui la accolse in pigiama di seta, le propose di apparire nel suo show "The Apprentice" e infine ebbero un rapporto sessuale che lei paragonò a un "black-out", provando vergogna per non aver detto di no vista la disparità di potere tra loro.
Le altre notizie della settimana
Geoff Duncan, ex vice-governatore Repubblicano della Georgia (stato in cui Donald Trump attuò personalmente pressioni sui vertici politici per sovvertire il risultato delle ultime presidenziali), in carica durante le elezioni del 2020, ha dichiarato che il prossimo novembre voterà per Joe Biden.
“Il Partito Repubblicano non ritroverà mai l'unità finché non andrà oltre l'era Trump, lasciando a un conservatore come me nessuna altra scelta diversa dal votare Biden. Allo stesso tempo, dobbiamo votare quanti più conservatori possibili al Congresso per bloccare la sua agenda”, ha affermato lo stesso Duncan.
La deputata Repubblicana Marjorie Taylor Greene ha presentato una mozione per rimuovere dalla carica di Speaker Mike Johnson, con cui polemizza da diverse settimane per aver approvato diverse importanti misure con la collaborazione del Partito Democratico.
La sua richiesta, però, non ha avuto alcun seguito. Con 359 contro 34, infatti, la Camera ha votato per dismettere immediatamente la mozione di sfiducia.
L'amministrazione Biden è sul punto di annunciare una decisione di vasta portata sui dazi contro la Cina. A differenza degli aumenti generalizzati voluti dal suo predecessore Donald Trump, il presidente americano punta a colpire in modo mirato settori strategici chiave come veicoli elettrici, batterie e celle solari, pur mantenendo in gran parte le tariffe esistenti. L'annuncio, che segna una delle mosse più significative di Biden nella competizione economica con Pechino, è atteso per martedì.
La decisione arriva al culmine di una revisione dei dazi della cosiddetta "Sezione 301", introdotti per la prima volta da Trump nel 2018. Fa seguito ad altre iniziative recenti della Casa Bianca, come la proposta di alzare i dazi su acciaio e alluminio cinesi e l'avvio di un'indagine sul settore navale del gigante asiatico.
Bernie Sanders, senatore americano di 82 anni noto per le sue posizioni di sinistra, ha annunciato la sua intenzione di ricandidarsi al Congresso. Sanders, una figura di spicco nell'ala progressista del Partito Democratico, è famoso per aver portato avanti per oltre 40 anni idee socialiste, a lungo considerate utopistiche o inconcepibili negli Stati Uniti.
Una dozzina di Democratici alla Camera dei Rappresentanti, attraverso un comunicato, hanno invitato il presidente Biden a usare un ordine esecutivo per migliorare la sicurezza al confine meridionale con il Messico. Tale appello arriva dopo che le trattative per una legge bipartisan sul tema, andate avanti per diverso tempo al Congresso, si sono arenate in virtù della contrarietà di parte dei Repubblicani.
“La situazione attuale è insostenibile”, si legge nella lettera, “ma con i Repubblicani che puntano solo a fare politica sulla sicurezza al confine la nostra amministrazione è chiamata ad agire”. Il riferimento indiretto è soprattutto alla decisione, operata da Donald Trump, di bocciare il provvedimento per non regalare una vittoria al suo avversario in vista delle elezioni.