Il mondo MAGA si ribella a Trump
Il movimento che ha riportato il presidente alla Casa Bianca si sta frammentando su più fronti: dai file Epstein ai visti per lavoratori stranieri, dall'antisemitismo alle politiche estere.
Donald Trump ha costruito il movimento MAGA (Make America Great Again) su un’ideologia nazionalista che lo ha riportato alla Casa Bianca nel 2024. Una coalizione così fedele che i suoi sostenitori avevano marciato sul Campidoglio in suo nome il 6 gennaio 2021. Ora quella coalizione mostra crepe profonde e il presidente sembra aver perso parte della presa sui suoi stessi elettori.
La rottura con Greene e la resa sui file Epstein
La frattura più clamorosa riguarda Marjorie Taylor Greene, la deputata della Georgia che per anni era stata l’incarnazione stessa del trumpismo più radicale. Nel 2024 indossava il cappellino rosso MAGA durante il discorso sullo Stato dell’Unione di Joe Biden. Faceva da tramite tra Trump e i repubblicani del Congresso. Lo aveva paragonato a Gesù Cristo dicendo che “l’uomo che venero è anche un criminale condannato, e fu ucciso su una croce romana”.
Venerdì 21 novembre Greene ha annunciato le dimissioni dal Congresso con un video di undici minuti e una lettera di quattro pagine in cui ha accusato Trump di aver tradito i principi fondanti del suo stesso movimento. “Non importa da che parte oscilli il pendolo politico, repubblicano o democratico, niente migliora mai per l’americano comune”, ha detto. “Il debito aumenta. Gli interessi delle multinazionali e globali restano i preferiti di Washington”.
La rottura definitiva è arrivata sulla questione dei file Epstein, i documenti del Dipartimento di Giustizia relativi alle indagini sul finanziere Jeffrey Epstein, condannato per reati sessuali e morto suicida in carcere nel 2019. Per settimane Trump aveva resistito alla loro pubblicazione, definendo la richiesta una “bufala democratica”. Greene invece si era schierata con le vittime, allora minorenni, diventando l’unica repubblicana insieme al collega Thomas Massie a sfidare apertamente il presidente su questo tema.
Il 18 novembre, davanti al Campidoglio, Greene ha dichiarato che gli americani “non tollereranno altre stronzate” sulla vicenda, che ha “fatto a pezzi il MAGA”. “Ho combattuto per lui, per le sue politiche e per America First, e mi ha chiamato traditrice perché sto con queste donne”, ha detto riferendosi alle vittime di Epstein. “Lasciate che vi dica cos’è un traditore. Un traditore è un americano che serve paesi stranieri e se stesso. Un patriota è un americano che serve gli Stati Uniti”.
Trump ha risposto con una raffica di insulti sui social media, chiamandola “Wacky Marjorie”, “traditrice” e “lunatica delirante”. Ha annunciato che avrebbe sostenuto un suo sfidante alle primarie. Greene ha replicato che quelle parole “possono radicalizzare le persone contro di me e mettere in pericolo la mia vita”. In un’intervista alla CNN ha fatto qualcosa di inaudito nell’etica trumpiana del non scusarsi mai: ha chiesto umilmente perdono per aver partecipato alla “politica tossica” che aveva contribuito a creare.
La vicenda Epstein ha costretto Trump a una ritirata tattica. Quando è diventato chiaro che la Camera avrebbe votato a stragrande maggioranza per la pubblicazione dei documenti, il presidente ha improvvisamente cambiato posizione dichiarandosi favorevole. Il 18 novembre la Camera ha approvato la misura con un solo voto contrario tra i repubblicani. Il Senato ha seguito all’unanimità. Trump ha firmato la legge il giorno dopo.
Il deputato Massie, che insieme al democratico Ro Khanna aveva guidato la raccolta di firme per forzare il voto, ha commentato che la leadership repubblicana alla Camera “aveva consegnato le chiavi al presidente, e questa settimana gliele abbiamo riprese”. Ma ha avvertito che difficilmente si ripeterà una situazione simile, in cui Trump si trovava in contrasto non solo con la maggioranza del paese ma con i suoi stessi sostenitori.
Le critiche alla politica estera
I sondaggi confermano il momento difficile. Secondo Marist, il gradimento di Trump è sceso al 39 per cento, il livello più basso dal periodo immediatamente successivo all’assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021. Un sondaggio Reuters/Ipsos lo colloca al 38 per cento. I democratici hanno ora un vantaggio di 14 punti sulla domanda su chi voterebbero gli americani se le elezioni di metà mandato si tenessero oggi, il margine più ampio dal 2017.
La frattura sul caso Epstein ha rivelato tensioni più profonde. Greene aveva già criticato Trump per i suoi frequenti viaggi all’estero, sostenendo che dovrebbe concentrarsi sui problemi interni come il costo della vita. “A nessuno importa dei paesi stranieri. A nessuno importa della processione infinita di leader stranieri che arrivano alla Casa Bianca ogni settimana”, aveva detto. “Vorrei davvero vedere l’Air Force One parcheggiato, che resti a casa”.
Le critiche si sono estese alla politica economica. In un’intervista a Fox News, Trump ha difeso i visti H-1B per lavoratori stranieri qualificati dicendo che gli Stati Uniti “non hanno certi talenti”. La conduttrice Laura Ingraham ha obiettato che “abbiamo molte persone di talento qui”. Trump ha replicato bruscamente: “No, non le avete”. L’hashtag #AmericaLast ha iniziato a circolare sui social media e alcuni hanno dichiarato che “il MAGA è morto”.
Intervenendo al forum di investimenti Stati Uniti-Arabia Saudita il 19 novembre, Trump ha raddoppiato. “Non puoi arrivare, aprire un’enorme fabbrica di chip per miliardi e miliardi di dollari come si sta facendo in Arizona, e pensare di assumere gente dalla fila dei disoccupati per farla funzionare”, ha detto davanti a un pubblico di miliardari, dirigenti aziendali e investitori sauditi. “Dovranno portare con sé migliaia di persone, e io le accoglierò!”.
Lo stesso forum ha visto Trump annunciare un nuovo impegno internazionale su richiesta del principe ereditario saudita Mohammed bin Salman, al centro dell’omicidio del giornalista del Washington Post Jamal Khashoggi: mediare per fermare le atrocità in Sudan. “Dio benedica il mondo!”, ha scritto su Truth Social, una formula che suona lontana dall’”America First”.
L’ombra dell’estremismo: Fuentes e la guerra civile nel partito
Un’altra linea di frattura attraversa il movimento conservatore sulla questione dell’antisemitismo. Tucker Carlson, l’ex conduttore di Fox News diventato podcaster indipendente, ha ospitato per oltre due ore Nick Fuentes, un 27enne nazionalista bianco noto per aver lodato Hitler, negato l’Olocausto e parlato di “ebraismo organizzato” come minaccia all’America. L’intervista, vista oltre 20 milioni di volte, è stata cordiale e priva di vere contestazioni.
La reazione è stata violenta. Il senatore Ted Cruz del Texas ha definito Carlson “un codardo” e “complice del male”. Ben Shapiro del Daily Wire lo ha chiamato “codardo intellettuale”. Ma Kevin Roberts, presidente della Heritage Foundation, il principale think tank conservatore e artefice del Project 2025, ha difeso Carlson in un video che ha raccolto oltre 24 milioni di visualizzazioni. “I cristiani possono criticare lo Stato di Israele senza essere antisemiti”, ha detto Roberts, sostenendo che “cancellare” Fuentes non è la risposta.
La presa di posizione ha scatenato una rivolta interna alla Heritage Foundation. Nei messaggi tra dirigenti senior visti dalla CNN, alcuni hanno descritto l’organizzazione come “in preda al caos” e “in modalità di controllo danni”. “È una merda totale, ha perso il controllo dell’organizzazione”, ha detto un dipendente senior alla CNN. “È una ribellione aperta, è disgusto. L’85 per cento è totalmente disgustato”. Il capo di gabinetto di Roberts si è dimesso. Il professore di legge Robert P. George ha lasciato il consiglio di amministrazione.
Trump, interpellato sulla vicenda, ha difeso Carlson dicendo che “non puoi dirgli chi intervistare” e che lo trova “una brava persona” che “ha detto cose positive su di me”. Fuentes ha risposto su X: “Grazie signor Presidente!”. Quando gli è stato chiesto se condannasse la retorica razzista e antisemita di Fuentes, la Casa Bianca ha rimandato alle dichiarazioni del presidente, che ha detto di non sapere molto di lui.
La crescita di Fuentes e dei suoi seguaci, chiamati “Groyper”, rappresenta una sfida esistenziale per il partito repubblicano, secondo diversi osservatori. Cruz ha parlato di “veleno” e di “crisi esistenziale nel nostro partito e nel nostro paese”. Secondo Rod Dreher, commentatore conservatore che vive a Budapest, tra il 30 e il 40 per cento dei giovani collaboratori repubblicani al Congresso sarebbero fan di Fuentes. Il dato è contestato ma la tendenza a tollerare posizioni estremiste appare innegabile.
Un’inchiesta di Politico ha rivelato il contenuto di chat private tra giovani repubblicani piene di riferimenti a Hitler e apologia della violenza. Il vicepresidente JD Vance ha liquidato lo scandalo come “stizza da perbenisti”. Ma la Casa Bianca ha poi ritirato la nomina di Paul Ingrassia a capo dell’Office of Special Counsel dopo che erano emersi suoi messaggi con insulti razzisti.
Fuentes stesso ha detto di volere “caos, conflitto interno” nel partito repubblicano. “Siamo nel pieno della guerra Groyper”, ha dichiarato nel suo podcast. “La guerra civile per il GOP”. Ha avvertito che se Vance cercherà la nomination repubblicana nel 2028, lo metterà in quella che chiama la “morsa Groyper”, spostandosi in Iowa e negli altri stati delle primarie.
Un altro fronte di tensione riguarda l’intelligenza artificiale. Steve Bannon, ex stratega di Trump e conduttore del popolare podcast War Room, ha lanciato una campagna contro la spinta del presidente ad accelerare lo sviluppo dell’IA, definendola “probabilmente la tecnologia più pericolosa nella storia dell’umanità”. Bannon sostiene che la base MAGA detesta i “tech bros” come Elon Musk più della sinistra radicale, vedendo in loro una minaccia ai posti di lavoro della classe operaia.
“Ci sono più restrizioni per aprire un salone di bellezza che per le tecnologie più pericolose nella storia dell’umanità”, ha detto Bannon, promettendo di dedicare i prossimi anni a costruire una coalizione di base contro l’IA. Il suo esperto di intelligenza artificiale, Joe Allen, gira chiese e conferenze MAGA per diffondere l’allarme, paragonando l’entusiasmo per l’IA al culto suicida di Heaven’s Gate.
Il futuro del movimento dopo Trump
Un sondaggio Politico/Public First rivela che il 38 per cento degli elettori di Trump nel 2024 non si considera MAGA. Questi elettori sono molto meno fedeli al presidente e più propensi a incolparlo per la situazione economica. Solo il 26 per cento ritiene che l’economia sia ancora responsabilità di Biden, contro il 47 per cento dei MAGA convinti.
La domanda che incombe è cosa sarà del movimento quando Trump non potrà più candidarsi. La Costituzione gli impedisce un terzo mandato, anche se lui stesso ha scherzato mostrando cappellini “Trump 2028” nello Studio Ovale. Vance è considerato il suo erede naturale, ma le varie fazioni stanno già manovrando per influenzarlo o sfidarlo.
Christopher Rufo, attivista conservatore, ha detto che il partito è entrato in una fase di “politica post-Trump”, con figure di spicco che si contendono quote di mercato e controllo ideologico. “Questo è un dibattito per il futuro del partito repubblicano in generale”, ha spiegato, “ed è una campagna di influenza per cercare di reclutare JD Vance da una parte o dall’altra”.
Greene stessa, nel suo messaggio di dimissioni, si è posizionata come alternativa. “Quando il popolo americano finalmente realizzerà e capirà che il complesso industriale politico di entrambi i partiti sta facendo a pezzi questo paese”, ha scritto nello stile di Trump con maiuscole sparse, “allora sarò qui al loro fianco per ricostruirlo”.
Il commentatore dell’Atlantic Idrees Kahloon ha paragonato la situazione a quella di Lyndon Johnson nel 1968, un presidente abituato al dominio che continuò a oscurare il suo partito anche dopo aver rinunciato alla rielezione, zavorrando il suo vicepresidente Hubert Humphrey con le politiche impopolari sul Vietnam. “Non sappiamo quale sarà il Vietnam di Trump”, ha scritto. “Ma sappiamo che la frattura democratica del 1968 fu brutta e autodistruttiva. La frattura repubblicana del 2028 potrebbe essere altrettanto grave”.
Le altre notizie della settimana
Spari contro due soldati della Guardia Nazionale a Washington. Una militare della Guardia Nazionale del West Virginia è morta e l’altro è in condizioni critiche dopo essere stati colpiti da arma da fuoco nel centro di Washington. Il presidente annuncia l’invio di 500 militari aggiuntivi nella capitale e promette di riesaminare lo status di tutti i cittadini afghani.
Trump esclude il Sudafrica dal G20 del 2026 a Miami. Il presidente degli Stati Uniti ha annunciato che il Sudafrica non sarà invitato al vertice che si terrà a Miami, riaccendendo le tensioni tra i due paesi. Pretoria definisce la decisione punitiva e basata su disinformazione, mentre altre nazioni del gruppo esprimono preoccupazione.
Trump annuncia il blocco dell’immigrazione dai “paesi del Terzo Mondo”. Il presidente reagisce alla sparatoria di Washington con una serie di misure drastiche contro l’immigrazione, tra cui la revisione di tutti i casi di asilo approvati da Biden e il blocco delle green card per cittadini di 19 paesi.
L’inviato di Trump consigliava i russi su come convincere il presidente. L’agenzia Bloomberg ha pubblicato le registrazioni delle conversazioni tra Steve Witkoff e alti funzionari del Cremlino. L’emissario americano suggeriva a Mosca come presentare il piano di pace e quali argomenti usare per convincere Trump
Alexandria Ocasio-Cortez pensa al 2028: corsa al Senato o alla Casa Bianca. La deputata democratica di New York sta valutando seriamente una candidatura presidenziale o una sfida al leader del Senato Chuck Schumer. In sette anni è passata da outsider socialista a una delle figure più influenti del partito.
Il dipartimento per l’efficienza di Musk-Trump è stato chiuso. Il Department of Government Efficiency, l’iniziativa lanciata con grande clamore da Donald Trump per ridurre la burocrazia federale, ha cessato di esistere dopo meno di un anno di attività.
Doug Jones si candida governatore dell’Alabama. L’ex senatore democratico, unico a vincere in uno Stato dominato dai repubblicani negli ultimi vent’anni, sfida l’ex allenatore di football che lo sconfisse nel 2020. In palio la guida di uno degli Stati più conservatori d’America.
Mamdani chiede le dimissioni di 179 collaboratori di Adams in vista dell’insediamento. Il sindaco eletto di New York ha avviato una pulizia di ampia portata al Municipio, chiedendo ai dipendenti politici dell’amministrazione uscente di lasciare entro il primo gennaio. La mossa ha innescato aspre critiche da parte del team di Adams.


