Il piano di pace di Trump non piace (quasi) a nessuno
Un piano che ridisegna l’Ucraina a misura di Mosca e mette Kiev davanti a una scelta impossibile.
La proposta contiene elementi che per Kiev risultano difficili anche solo da prendere in considerazione. Il piano prevede infatti il riconoscimento “de facto” della Crimea, del Donetsk e del Luhansk come territori sotto controllo russo, includendo anche la cessione della porzione di Donetsk ancora amministrata dall’Ucraina, trasformata in zona cuscinetto demilitarizzata. Come osserva JustSecurity, questa formula è già di per sé ambigua: parlare di riconoscimento “de facto” senza passaggio formale crea una cornice ibrida che, nella pratica, sancisce comunque le pretese di Mosca. Le regioni di Kherson e Zaporizhzhia resterebbero congelate lungo l’attuale linea del fronte, consolidando il corridoio terrestre verso la Crimea; la Russia rinuncerebbe solo a piccole sacche nelle regioni di Kharkiv e Sumy. A completare il quadro territoriale ci sono un accordo di non aggressione tra Russia, Ucraina ed Europa, il divieto per Mosca di ostacolare il traffico ucraino sul Dnipro e un pacchetto umanitario che comprende lo scambio “tutti per tutti” dei prigionieri, il ritorno dei civili deportati, compresi i bambini, e un comitato permanente per le questioni ancora aperte.
Parallelamente, il documento ridisegna in profondità lo spazio strategico dell’Ucraina, imponendole una neutralità permanente e scolpita nella Costituzione. Kiev dovrebbe rinunciare formalmente alla NATO, mentre l’Alleanza sarebbe tenuta a modificare i propri statuti per escludere per sempre l’adesione ucraina e rinunciare a qualsiasi ulteriore allargamento. Nessuna truppa NATO potrebbe essere dispiegata in territorio ucraino, e i caccia europei dovrebbero essere trasferiti in Polonia. L’esercito ucraino verrebbe ridotto a 600.000 effettivi e il Paese dovrebbe riaffermare il proprio status non nucleare. In parallelo, Stati Uniti, Russia e NATO aprirebbero un dialogo strutturato sulle questioni di sicurezza, con un gruppo di lavoro congiunto USA–Russia incaricato di vigilare sull’attuazione dell’accordo e con l’impegno a prorogare i trattati di controllo degli armamenti. La centrale di Zaporizhzhia tornerebbe operativa sotto supervisione IAEA, con l’elettricità suddivisa in parti uguali tra i due Paesi.
Il capitolo sulle garanzie di sicurezza si presenta altrettanto complesso. La protezione americana scatterebbe solo in caso di un’ulteriore invasione russa e consisterebbe in una “risposta militare coordinata e decisa”, senza però definire modalità, scala o coinvolgimento diretto degli Stati Uniti. La garanzia verrebbe automaticamente revocata se l’Ucraina dovesse colpire il territorio russo o violare la propria neutralità, e Washington riceverebbe un compenso per fornirla. Sul piano interno, Kiev sarebbe chiamata a organizzare elezioni entro 100 giorni dall’accordo, aprendo una fase politica delicatissima nel momento di massima vulnerabilità del Paese. Anche la dimensione culturale viene regolata: Ucraina e Russia dovrebbero adottare programmi educativi sulla “tolleranza”, proibire “ideologie naziste”, recepire le norme UE sulle minoranze linguistiche e garantire libertà di stampa. È un insieme di clausole che riecheggia in modo evidente il linguaggio tipico della propaganda russa e richiama elementi presenti in altri piani promossi da Trump.
La parte economica del documento è altrettanto vasta e, in alcuni passaggi, sorprendentemente ambiziosa. Cento miliardi di dollari provenienti dai beni russi congelati sarebbero investiti in un piano di ricostruzione dell’Ucraina guidato dagli Stati Uniti, con altri cento miliardi forniti dall’Europa. Washington riceverebbe metà dei profitti generati e, insieme a Mosca, gestirebbe progetti congiunti in infrastrutture energetiche, data center, intelligenza artificiale, estrazione di minerali e terre rare nell’Artico. La Russia, in cambio, otterrebbe una progressiva revoca delle sanzioni, la reintegrazione nell’economia globale, un accordo di cooperazione economica con gli Stati Uniti e un invito a rientrare nel G8. L’intero impianto sarebbe vincolato giuridicamente e supervisionato da un Consiglio per la Pace presieduto da Donald Trump, con il potere di imporre sanzioni in caso di violazione dei termini.
Le reazioni e la difficile posizione dell’Ucraina
L’uscita del piano ha travolto Kiev in quello che Zelensky ha definito “uno dei momenti più difficili” della storia del Paese, una scelta “tra la perdita di dignità e la perdita di un partner chiave”. Trump gli ha imposto una scadenza, il Giorno del Ringraziamento, precisando che eventuali proroghe arriveranno solo se i colloqui “stanno andando bene”. Da parte sua, Zelensky ha ringraziato Trump per “il desiderio di mettere fine al bagno di sangue” e ha intensificato il coordinamento con Macron, Merz, Starmer e il segretario generale della NATO Mark Rutte, ribadendo che l’Ucraina accetterà solo una pace “dignitosa e duratura”, che non lasci spazio a una “terza invasione”. Ma la sua posizione è resa fragile da un contesto interno molto difficile: come ricordano i media ucraini, Zelensky è al centro del più grande scandalo di corruzione dall’inizio della guerra, che ha coinvolto membri del suo entourage e provocato richieste di dimissioni ai vertici del governo proprio mentre la Russia intensifica gli attacchi alla rete elettrica. È in questo sfondo di blackout programmati, pressione militare e tensioni politiche che si innesta il piano americano, amplificando le fratture interne.
Lo scontento in Ucraina è infatti profondo e trasversale. Il Kyiv Independent descrive un Paese “in subbuglio”, dove attivisti, parlamentari e veterani liquidano la bozza come “capitolazione e tradimento”. Secondo l’opposizione, accettare l’accordo rischierebbe di “spaccare la società”, mentre i militari criticano soprattutto la riduzione delle forze armate a 600.000 effettivi, letta come un invito a futuri attacchi russi. Tra i veterani riemerge il fantasma degli accordi di Minsk: una tregua che congelò il conflitto ma preparò un’escalation ancora più violenta. Le critiche più dure riguardano l’amnistia generale, percepita come un insulto dopo Bucha e Mariupol, e il riconoscimento “de facto” delle conquiste territoriali russe. L’idea che “non può esserci pace senza giustizia” attraversa gran parte dei commenti, e ogni formula che normalizzi l’occupazione o cancelli responsabilità viene vissuta come un cedimento morale prima ancora che politico.
Dall’altra parte del fronte, Mosca ha accolto la proposta con evidente soddisfazione. Putin ha confermato che il Cremlino ha ricevuto il testo e lo considera “una base possibile per un accordo finale”. Come nota il Guardian, il presidente russo sostiene che l’Ucraina vive ancora “di illusioni” se pensa di poter ottenere una vittoria sul campo, e accusa Kiev e i partner europei di voler infliggere a Mosca una “sconfitta strategica”, obiettivo che definisce “fantasioso”. Nel presentare il piano come una versione modernizzata delle proposte già discusse con Trump in Alaska, il Cremlino segnala una continuità di fondo: le richieste russe sono praticamente intatte. Al tempo stesso, Putin si lamenta del fatto che il documento “non sia stato discusso in modo sostanziale” con Mosca, un modo per aumentare la pressione su Kiev e rovesciare il frame negoziale: la Russia appare collaborativa, l’Ucraina l’ostacolo. Nei media russi il piano è raccontato come una vittoria diplomatica: neutralità ucraina, limitazioni NATO, riconoscimenti territoriali e rientro nella normalità economica, senza vere concessioni da parte di Mosca.
Le reazioni negli Stati Uniti, invece, mostrano un quadro molto più diviso. Mentre Trump insiste che Zelensky “dovrà fare i conti” con la realtà del piano (“non ha le carte”, ha detto), in Congresso crescono i dubbi. Il senatore repubblicano Roger Wicker parla apertamente di un “accordo pieno di problemi”, rifiutando l’idea che l’Ucraina debba cedere territori o limitare le proprie forze armate; il democratico Chris Coons lo definisce “una wish list russa”. Negli ultimi due giorni anche il Washington Post e il Guardian hanno riferito che i diplomatici europei sono rimasti “colti di sorpresa” dalla durezza delle richieste americane e dal ritmo imposto da Washington. Secondo il Council on Foreign Relations, il piano si presenta come un “bargain faustiano” che può aprire qualche margine negoziale, ma a costo di superare molte linee rosse ucraine ed europee. L’Atlantic Council, più netto, lo definisce “un pasticcio confuso e incoerente”, anche se riconosce che una garanzia bilaterale americana potrebbe, almeno sulla carta, dissuadere future aggressioni russe. Tutto questo mentre l’opinione pubblica statunitense mostra crescente stanchezza, e l’amministrazione Trump lega sempre più apertamente l’aiuto a Kiev alla sua disponibilità a firmare un accordo che, secondo molti analisti, rischia di congelare la guerra anziché chiuderla.
A Washington, intanto, la situazione si fa sempre più confusa. Dopo giorni di indiscrezioni e di tensione bipartisan, i senatori Rounds (repubblicano) e King (indipendente affiliato ai democratici) sono usciti da un briefing con Marco Rubio sostenendo che il piano di pace non sarebbe stato redatto dagli Stati Uniti, ma “ricevuto” da un intermediario russo, e che lo stesso Rubio lo avrebbe descritto come “la wishlist dei desideri russi”. Il Dipartimento di Stato ha smentito rapidamente, definendo la ricostruzione “palesemente falsa”, e Rubio è intervenuto su X per ribadire che il documento “è stato scritto dagli Stati Uniti”, pur ammettendo che incorpora input russi di vecchia data e ucraini tuttora in corso, anche se, nella versione circolata sui media, non è affatto chiaro quali siano i contributi effettivi di Kiev. Ma il danno politico era ormai fatto: i falchi repubblicani hanno iniziato a smarcarsi apertamente, con McConnell e lo stesso Wicker che hanno bollato la proposta come irricevibile, mentre l’ex consigliere per la sicurezza nazionale John Bolton ha affermato che “i russi non avrebbero potuto scrivere un trattato migliore da soli”, definendolo “un tradimento dell’Ucraina”. La replica di JD Vance è arrivata poco dopo, accusando i critici di vivere in un “mondo di fantasia”. Oggi funzionari ucraini, americani ed europei si incontrano in Svizzera per esaminare il piano e proporre modifiche sostanziali, ma l’aria che si respira nella diplomazia occidentale lascia intendere che il margine per cambiamenti profondi sia estremamente ridotto.
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