Il problema dei debiti studenteschi e la risposta di Biden
Che cos’è il problema dello “student debt” e la risposta di Biden
Nelle ultime settimane sta crescendo, nel fronte democratico, il pressing affinché il presidente Joe Biden agisca per cancellare o quantomeno ridurre l’ammontare totale dello “student debt”, ad oggi una delle maggiori cause di problemi per i giovani americani. Per capire la portata di tale questione, analizzeremo la genesi di questo debito, aiutati anche da un’interessante analisi svolta dalla CNBC a riguardo.
Anzitutto, di cosa parliamo quando citiamo lo "student debt"? Per rispondere bisogna tornare indietro nel tempo di circa sessant'anni, quando l'istruzione è passata dall'essere qualcosa che riguardava una piccola minoranza dei cittadini a fenomeno di massa. A partire dal 1958, infatti, gli studenti americani possono accedere a forme di prestito per garantirsi la possibilità di studiare: il progetto fu finanziato dalla presidenza Eisenhower subito dopo il lancio del primo satellite da parte dell’Unione Sovietica, che provocò enormi scossoni interni agli Stati Uniti, feriti dall’aver perso la supremazia tecnologica. Il provvedimento era finalizzato appunto per far crescere il numero di laureati, e per diversi decenni si è rivelato un successo.
Questo perché il massiccio finanziamento statale per i Collage serviva a rendere questi accessibili a costi non esorbitanti. Ad un certo punto, però, il meccanismo si è incrinato. Individuare una causa unica per la nascita di una crisi è senza dubbio impossibile, a maggior ragione in un paese come gli Stati Uniti, dove l’istruzione è prevalentemente un tema di competenza dei singoli stati, ma la situazione ha iniziato a peggiorare con il calo degli investimenti pubblici nell’istruzione, a partire dall’era Reagan. Il tutto è stato esacerbato dalle diverse crisi economiche occorse nell’ultimo periodo, che hanno portato ad ulteriori riduzioni nei finanziamenti. Tale meccanismo ha portato sempre più giovani a ritrovarsi indebitati per diverse migliaia di dollari a causa degli studi, un problema che sta a monte della grande battaglia politica fatta dal Partito Democratico e appoggiata anche da Biden durante la scorsa campagna elettorale.
Il costo globale del debito ha infatti raggiunto l’astronomica cifra di 1.7 trilioni di dollari, con una media di 17.000 dollari per ciascuno studente. Anche per questo la presidenza Biden ha provato ad aumentare la cifra da destinare all’istruzione, spesso a vuoto visto il fallimento del piano di spesa sociale proposto dalla Casa Bianca. Un’analisi effettuata nel 2019 dalla Federal Reserve, inoltre, mostra come questo faccia decrescere notevolmente la disponibilità finanziaria dei giovani, andando a colpire altri settori come quello della vendita di case, visto che sempre meno persone possono permettersi l'acquisto dopo la conclusione degli studi.
Si tratta di un problema che alimenta anche disparità sociali, perché spesso sono gli studenti appartenenti alle minoranze che faticano nel ripagare il debito iniziale. Inevitabilmente questo problema è diventato terreno di scontro politico, in particolar modo a partire dalle elezioni del 2020. Elizabeth Warren era stata fra le prime a proporre la cancellazione di parte del debito da parte dello stato, con Bernie Sanders che si era spinto oltre chiedendo la sua eliminazione totale. Joe Biden è sempre stato molto cauto sul tema: nell’ultima conferenza stampa ha affermato di essere pronto a firmare qualsiasi legge a riguardo venga presentata sul suo tavolo, ma come sottolinea anche Forbes, in realtà è non ha mai spinto davvero fino in fondo con un’iniziativa su larga scala a riguardo dell’argomento, come invece avevano chiesto molti attivisti.
Il presidente, in ogni caso, ha comunque esteso la moratoria che serve a sospendere i pagamenti, inizialmente pensata come misura emergenziale dovuta alla pandemia, sino al prossimo maggio. Diversi esponenti progressisti, tuttavia, hanno lamentato la poca incisività: si tratta di un tema che continuerà ad essere al centro del dibattito, soprattutto in vista delle prossime midterm.
La crisi con la Russia e la “gaffe” di Biden
In settimana Joe Biden ha tenuto una conferenza stampa che aveva al centro il bilancio del suo primo anno di mandato, ma che inevitabilmente si è spostata sulla crisi che intercorre fra Stati Uniti e Russia, riguardante la possibile invasione dell’Ucraina da parte del paese guidato da Vladimir Putin.
A far discutere è stata una gaffe del presidente americano, che ha parlato di una distinzione fra attacco maggiore o minore, con una risposta proporzionale: una frase criticata anche dagli stessi democratici.
La situazione, in ogni caso, rimane tesa: venerdì si sono tenuti a Ginevra dei colloqui, che non hanno portato ad una risoluzione definitiva della vicenda. Le posizioni, infatti, restano distanti, con la Russia che, in cambio rispetto al ritiro delle truppe dal confine, vorrebbe lo stop dell’espansione verso est della NATO, ritenuta irricevibile dagli Stati Uniti.
Gli incontri non hanno prodotto nessun passo avanti concreto, anche se Biden è intervenuto per rettificare la sua iniziale posizione, chiarendo come qualsiasi invasione, anche in tono minore, sarebbe stata considerata un attacco all’Ucraina e avrebbe portato ad una risposta economica forte da parte degli stati occidentali.
Le altre notizie della settimana
Il filibuster resterà intatto: è infatti fallito il tentativo democratico per rovesciare il meccanismo dell’ostruzionismo al Senato, che sarebbe stato necessario per far approvare una legge sui diritti di voto. A votare insieme ai repubblicani sono stati i democratici Joe Manchin e Krysten Sinema.
Proprio Sinema, senatrice democratica dell’Arizona, è sempre più isolata fra le file del suo partito per l’aver contribuito ad affossare parte dell’agenda Biden. Il partito del suo stato, infatti, ha approvato una mozione di censura nei suoi confronti, mentre alcuni esponenti come Bernie Sanders parlano apertamente della possibilità di appoggiare un suo sfidante nelle primarie.
I democratici pronti a considerare una versione ridotta del BBB per ottenere l'appoggio di Manchin ed il passaggio al Senato. "Meglio una Joe Manchin bill, che nulla", afferma uno di loro.
Nella settimana in cui il New York Times ha pubblicato una serie di video declassificati nel quale si mostrano gli ultimi istanti dell’attacco con i droni che lo scorso agosto, a Kabul, ha provocato la morte di dieci innocenti per mano americana, i democratici aumentano la pressione su Joe Biden affinché quest’ultimo revisioni la strategia che porta ad utilizzare questo tipo di attacchi.
Emergono importanti novità per quanto riguarda la Commissione d’Inchiesta del Congresso relativa all’assalto avvenuto a Capitol Hill il 6 gennaio del 2021. Quest’ultima, infatti, ottiene una delle sue prime vittorie importanti: la Corte Suprema ha aperto la strada all’autorizzazione nell’uso degli atti relativi alle azioni di Donald Trump durante le ore delicate in cui era in corso la violenza.
Adesso centinaia di pagine di documenti, che contengono tra le altre cose, gli elenchi delle persone che hanno visto o chiamato il tyconn il 6 gennaio 2021, nonché gli appunti presi durante questi scambi, saranno a disposizione della Commissione, nonostante i tentativi effettuati da Trump per tenerli segregati.
Non si tratta, in ogni caso, dell’unica grana per Donald Trump. La Procuratrice Generale di New York Letitia James, infatti, ha presentato una mozione per costringere l'ex Presidente ed i suoi due figli maggiori, Donald Trump Jr. e Ivanka Trump, a comparire per una testimonianza giurata nel corso dell'indagine in corso da parte del suo ufficio sugli affari finanziari della Trump Organization. Dalle indagini preliminari, infatti, appare come quest’ultima abbia "usato valutazioni patrimoniali fraudolente e fuorvianti per ottenere vantaggi economici indebiti".
Gallup ha pubblicato alcuni interessanti dati sull’identificazione politica degli americani, che mostra un quadro nettamente diverso rispetto allo scorso anno. Oggi il 47% dei cittadini, infatti, dichiara di sentirsi maggiormente al Partito Repubblicano, con solo il 42% che si è espresso a favore dei democratici, nettamente in vantaggio dodici mesi fa.
Questo accade mentre crescono le divisioni interne al Partito Repubblicano, dove sembra già aprirsi la sfida in vista delle prossime presidenziali. Oltre a Donald Trump, uno dei nomi più quotati per la candidatura è il governatore della Florida Ron DeSantis, ex alleato del tycoon. Quest’ultimo, però, ha iniziato a sferrare attacchi contro il suo possibile sfidante, definendola una persona noiosa e ingrata. (Qui il nostro approfondimento sull’operato di DeSantis come governatore).
La legge del Texas che limita il diritto all’aborto, della quale avevamo anche parlato nel numero della newsletter di qualche settimana fa, resterà in vigore. La Corte Suprema ha respinto un ricorso contro di essa, in attesa del pronunciamento delle Corti statali.
La nuova strategia di Biden per combattere la pandemia punta molto sui test fai-da-te svolti in maniera frequente dai cittadini. Gli americani che lo desiderano potranno ricevere quattro kit di tamponi gratuitamente, in modo da potersi frequentemente controllare.
Per questa settimana è tutto. Grazie di averci letto. Se la newsletter ti è piaciuta condividila.
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