In Georgia sarà più difficile votare a causa dei Repubblicani
La battaglia per il diritto al voto in Georgia, la questione delle armi e delle tasse e le altre notizie della settimana.
Diritto al voto: battaglia in Georgia
Uno dei temi più sentiti, nell’ultima settimana, è stato quello relativo al diritto al voto. Prima di affrontare il tema, una doverosa premessa riguardante le differenze radicali presenti nel sistema di voto americano rispetto a quello italiano, probabilmente non così note alle persone non propriamente avvezze alle questioni politiche d’oltreoceano.
Negli Stati Uniti, infatti, per poter esercitare il diritto al voto non basta semplicemente aver raggiunto la maggiore età, ma bisogna essere iscritti alle liste elettorali. Questo tema è collegato al fenomeno della voter suppression, con cui numerosi stati (soprattutto repubblicani) cercano di rendere più difficile l’esercizio del voto.
Per farlo gli stratagemmi sono vari e vanno dalla cancellazione dalle liste elettorali di chi non ha votato di recente oppure è in prigione, alla riduzione dei margini per esprimere in maniera anticipata la propria preferenza, alla richiesta di un documento di riconoscimento (negli USA non è obbligatorio, e soprattutto nelle zone povere molti ne sono sprovvisti) sino alla diminuzione del numero di seggi, in modo da aumentare la distanza da percorrere per recarsi alle urne e scoraggiare i possibili elettori.
Inevitabilmente, le conseguenze di queste scelte si abbattono principalmente sulle frange più povere dell’elettorato, soprattutto nelle zone dove risiedono gli elettori del Partito Democratico. Qui veniamo all’attualità ed a quanto accaduto in Georgia, dove il Governatore Brian Kemp ha approvato una legge che rende appunto più difficile l’esercizio del voto.
Fra le misure, la riduzione del voto postale, il limite all’utilizzo dei provisional ballots ed il divieto di offrire cibo ed acqua agli elettori in coda. Durante il suo percorso la legge è stata anche alleggerita, dato che inizialmente c’erano anche misure come l’abolizione del voto domenicale, in modo da disincentivare gli afroamericani che si recano alle urne dopo essere stati a messa.
Perché questa misura? Per il Partito Repubblicano (che sta agendo in questa direzione in quasi tutto il paese) si tratta principalmente di una mossa volta a ristabilire la fiducia degli elettori nel sistema di voto, messo a dura prova dalle accuse di brogli durante le ultime presidenziali.
I democratici, però, sono andati all’attacco affermando, come ha fatto Joe Biden, che si tratta di un ritorno alle leggi di Jim Crow che favorivano la segregazione razziale (accuse subito respinte dal governatore). A questo punto per comprendere meglio la situazione è necessario comprendere cosa è accaduto in Georgia.

Roccaforte repubblicana durante l’ultimo ventennio, negli ultimi anni lo stato ha iniziato un lento spostamento verso sinistra. Il che è dovuto a notevoli fattori: uno di questi è dato dall’enorme crescita di Atlanta (il voto delle grandi città da sempre favorisce i democratici) ma molto è dovuto anche all’impegno di Stacey Abrams, che ha iniziato una dura battaglia per mobilitare ed organizzare l’elettorato afroamericano, conducendo una battaglia per l’iscrizione in massa alle liste elettorali.
Una scelta politica che ha dato i suoi frutti, visto che i democratici hanno vinto in Georgia sia nelle presidenziali che in entrambi i ballottaggi decisivi per il controllo del Senato. Ragion per cui, accusano diversi esponenti, la legislatura statale ha scelto di muoversi per frenare questa avanzata riducendo la possibilità di accedere al voto.
Il tutto si inserisce in un discorso di più ampio respiro sul tema: quello del diritto al voto e dell’agevolazione del processo elettorale è stato un punto fermo per i democratici, che alla Camera hanno approvato una legge che, se dovesse passare al Senato (difficile vincere il filibuster repubblicano) faciliterebbe notevolmente il diritto al voto.
I democratici dello stato, in ogni caso, hanno già annunciato ricorsi a riguardo.
La sfida sulle armi
Le notizie riguardanti le sparatorie con diversi morti sono purtroppo frequenti negli Stati Uniti. Dopo un anno di relativa quiete, dovuta soprattutto alla riduzione della mobilità causata dalle restrizioni messe in atto per contrastare la pandemia, il tema è tornato tristemente d’attualità.
Questa settimana è capitato a Boulder, città particolarmente ricca dal punto di vista culturale situata in Colorado, dove una sparatoria in un centro commerciale ha causato dieci morti. Si tratta del secondo evento del genere a stretto giro, dopo che lo scorso 16 marzo ad Atlanta erano stati uccisi sei asiatico-americani.
Inevitabilmente la serie di eventi ha fatto ritornare al centro dell’attenzione il tema delle armi ed ha riacceso la battaglia politica relativa al controllo ed alla riduzione della loro commercializzazione. La questione è dibattuta ormai da decenni negli Stati Uniti, ma gli effettivi passi avanti sono stati pochi: lo stesso Donald Trump, durante la sua presidenza, aveva espresso la volontà di procedere in tale direzione, salvo poi bloccare ogni proposta avanzata dal Congresso.
Ad inizio marzo la Camera dei Rappresentanti ha approvato due proposte di legge volte proprio ad aumentare i controlli su chi acquista armi: nonostante l’ampia popolarità di cui gode questa misura, è improbabile che riesca a vincere il filibuster repubblicano al Senato (insieme alla questione trattata nel paragrafo precedente, si inserisce nel dibattito riguardante la possibile modifica di questo strumento, di cui abbiamo parlato la scorsa settimana).
Per capire la portata del problema, in ogni caso, è utile comprendere una statistica riportata in settimana dal New York Times: gli americani rappresentano circa il 4,4% della popolazione mondiale ma possiedono il 42% delle armi del globo.
Anche per questo lo stesso Joe Biden ha spinto per agire in tale direzione: il presidente ha chiesto un divieto di vendita delle armi d’assalto ed ha inoltre esortato il Senato a prendere in carica le due proposte di legge passate alla Camera, evidenziando la voglia di agire su un tema sul quale ha sempre mostrato parecchia sensibilità.
Su questo, però, i democratici devono confrontarsi con la dura opposizione repubblicana, con il GOP che continua a ribadire la sacralità del secondo emendamento. Il senatore Ted Cruz, in un intervento divenuto celebre, ha affermato che la soluzione non è proibire ai cittadini di proteggersi ma assicurare alla legge gli assassini e le persone violente.
Da segnalare anche la contrarietà di Joe Manchin, uno dei democratici più moderati e maggiormente a favore delle armi, il cui voto è fondamentale. Il Senatore ha dichiarato di non appoggiare interamente la proposta, che andrebbe smussata in alcuni aspetti.
In tutto questo, però, è appunto difficile pensare che il Congresso possa trovare una maggioranza che porti a legiferare in tale direzione. Anche per questo il presidente Joe Biden potrebbe scegliere di agire attraverso ordini esecutivi: la possibilità è stata paventata dalla portavoce della Casa Bianca Jen Psaki, che però ha evitato di specificare quali sono le misure allo studio.
Biden e la questione delle tasse
Uno dei temi dibattuti in settimana è stato anche quello relativo alla tassazione: fra i piani del presidente Joe Biden c’è infatti un importante investimento sulle infrastrutture. Per finanziarlo il Segretario al Tesoro Janet Yellen ha aperto alla possibilità, voluta dalla Casa Bianca, di alzare le tasse sulle grandi aziende e sulle persone ad alto reddito.
La necessità di investire nelle infrastrutture è considerata prioritaria dai democratici, e questa potrebbe essere una soluzione per coprire parte della spesa. Non sono ancora ben chiari quali potrebbero essere i margini del provvedimento, ma dalla Casa Bianca hanno specificato che non saranno toccate le persone con un reddito inferiore ai 400.000 dollari l’anno.
Il pacchetto potrebbe essere approvato con la procedura del reconciliation budget, che permetterebbe di superare il filibuster repubblicano ed essere approvata con maggioranza semplice. Da questo punto di vista è fondamentale l’appoggio di Joe Manchin, che di recente si è detto favorevole al piano.
Le altre notizie della settimana
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