La battaglia di Trump contro Facebook e Twitter
La battaglia di Donald Trump contro Facebook e Twitter, come va il ritiro degli Stati Uniti dall’Afghanistan e le altre notizie della settimana.
La battaglia di Donald Trump contro Facebook e Twitter
Quella dello scorso 6 gennaio è stata senza dubbio una delle date più difficili dell’intera storia democratica americana: l’assalto al Congresso ha infatti mostrato tutte le fragilità di un sistema politico più diviso che mai, portando alle estreme conseguenze la campagna di disinformazione proseguita per tutta l’era Trump. È stato proprio l’ex presidente ad essere individuato, almeno indirettamente, come uno dei colpevoli dei fatti di Capitol Hill, avendo soffiato sul malcontento dei suoi elettori con la sua retorica relativa ai brogli elettorali (accuse false, dato che tutte le corti giudiziarie hanno confermato la legittimità del voto.
Le conseguenze di quel gesto sono destinate a durare anche nel lungo termine, ed ancora oggi minano la legittimità di un Trump ormai tornato pienamente sul palcoscenico politico con vari comizi in vista di una possibile candidatura nel 2024. Il tycoon, però, deve fare i conti con un grosso problema relativo alla visibilità: dopo l’assalto al Congresso, infatti, i principali social media hanno deciso di bannarlo dalle piattaforme o di limitarne l’account a seguito del pericolo di violenza che potrebbe essere generato dalle sue parole.
Nell’ultima settimana, però, Donald Trump ha deciso di passare al contrattacco ed ha annunciato una battaglia legale contro Mark Zuckerberg (CEO di Facebook), Jack Dorsey (CEO di Twitter) ed il gruppo d’amministrazione di Youtube.
Ma qual è la situazione di Donald Trump in queste piattaforme? Twitter, in seguito ai fatti dello scorso 6 gennaio, aveva deciso di bannare permanentemente l’ex presidente. YouTube ha inserito alcune limitazioni: l’account rimane attivo con tutti i vecchi video, ma non possono esserne pubblicati di nuovi. La piattaforma ha specificato però che il blocco sarà rimosso nel momento in cui il rischio di violenze sarà diminuito. Facebook, invece, ha sospeso il profilo del tycoon per i prossimi due anni.
In una conferenza stampa tenuta lo scorso mercoledì, in cui il presidente si è concentrato soprattutto sul primo emendamento, è stata annunciata una class action contro i tre social, con un esposto rivolto verso la Corte Distrettuale del sud della Florida. Trump ha affermato: “Stiamo chiedendo la fine dello shadow ban, la fine del silenzio imposto su di noi e la fine delle blacklist, dei ban e delle cancellazioni che conoscete così bene".
Si tratta di una battaglia che, in ogni caso, secondo gli esperti ha poche possibilità di successo. "Non è un esposto. E' un modo per raccogliere fondi", afferma ad esempio Evan Greer, direttore di Fight for the Future, un gruppo progressista che si è occupato in passato di esposti legali contro le Big Tech, intervistato da Axios.
"Non c'è alcuna chance che gli esposti presentati da Trump abbiano più successo di decine di esposti simili già presentati in passato, e sia Trump che i suoi legali lo sanno benissimo", afferma a sua volta Eric Goldman, professore della Santa Clara University School of Law.
L'argomento centrale portato avanti dal team legale di Trump è che le piattaforme di social media sono equivalenti ad "attori statali", e quindi sono obbligate a rispettare le protezioni sulla libertà di stampa previste dal Primo Emendamento.
Secondo gli esperti si tratta di una strategia legale destinata inequivocabilmente al fallimento. "Il Primo Emendamento semplicemente protegge i cittadini dalla censura governativa", afferma il professore associato della Syracuse University, Roy Gutterman. "per quanto esercitino grande potere, le piattaforme di social media non sono branche del governo federale".
Il ritiro dall’Afghanistan è quasi completo, ma restano i problemi
E’ sempre più vicino il completamento del ritiro degli Stati Uniti dall’Afghanistan, dove l’esercito americano è impegnato in un’operazione militare che dura ormai da vent’anni. La decisione di lasciare lo stato del Medio Oriente è stata fortemente difesa dal presidente Joe Biden, che ha respinto le accuse relative ad un possibile rinascere della violenza talebana nel territorio.
Già nei giorni scorsi, il Pentagono aveva annunciato che il 90% della forza presente sul campo aveva già lasciato il paese, e nelle ultime ore è stato chiarito come il ritiro sarà completato entro il 30 agosto, ovvero undici giorni prima rispetto alla data inizialmente fissata, quella dell’11 settembre.
Questo mentre aumentano le preoccupazioni riguardanti una possibile armata dei talebani, che hanno già conquistato due città importanti come Islam Qala, nei pressi dell’Iran, e Torghundim, al confine con il Turkmenistan. Alcune fonti ufficiali dei gruppi talebani hanno parlato di un controllo sull’85% del territorio afghano, cifre che in ogni caso sono impossibili da confermare attraverso fonti indipendenti.
Il presidente Joe Biden ha comunque smentito le ipotesi più fosche, affermando che il governo locale sarà in grado di resistere, nonostante alcuni report dell’intelligence che parlano del possibile controllo del paese entro sei mesi dal ritiro delle truppe americane.
Biden ha anche ribadito l’idea per cui gli americani non si sono recati in Afghanistan per “costruire un Paese” ed ha detto che la responsabilità del futuro è solo “nelle mani del popolo afghano”, l’unico che può decidere in che modo “governare il proprio Paese”.
“Non è nostro compito imporre loro nulla. Saranno gli afghani a decidere come vogliono essere governati”, afferma Biden, che comunque ha aggiunto che gli Stati Uniti continueranno a supportare il legittimo governo afghano anche dopo il ritiro delle truppe ed a difendere i diritti umani.
Infine Biden ha anche annunciato che prima di completare il ritiro delle truppe, gli Stati Uniti si occuperanno di trasferire all’estero in sicurezza gli afghani che hanno aiutato i soldati americani durante il lungo intervento militare durato 20 anni, anche prima di concedere loro il visto per entrare nel territorio americano.
Le altre notizie della settimana
Joe Biden vuole rendere gli Stati Uniti pronti nel caso in cui dovessero scoppiare nuove pandemie in futuro. Per questo, in ogni caso, servirebbe comunque uno stanziamento di fondi da parte del Congresso
Il presidente del GOP dell'Oklahoma, John Bennett, ha deciso di supportare la candidatura di Jackson Lahmeyer, lo sfidante del senatore uscente James Lankford (R) alle primarie repubblicane per le elezioni di novembre 2022. L'accusa nei confronti di Lankford è quella di non aver contestato abbastanza il risultato delle elezioni 2020.
Eric Adams ha vinto di pochissimo le primarie democratiche e sara così quasi certamente il prossimo sindaco di New York City. Vittoria di un punto pari a 8.000 preferenze. Garcia ha recuperato coi voti postali, ma non abbastanza: in questa tipologia di voti Yang (moderato) è andato bene arrivando davanti a Wiley (la candidata di AOC), e questo ha tolto alcuni voti a Garcia nel RCV rispetto a quanto si prevedeva. Ha vinto contro Adams 61%-39% nelle seconde preferenze, meno rispetto al 65%-35% dei voti di persona.
Il Guardian riporta una frase shock che Trump avrebbe detto al suo Capo di Staff dell’epoca, John Kelly: “Hitler ha fatto anche tante cose buone”. La frase è stata detta durante un viaggio in Europa nel 2018 ed il giornale britannico ne è venuto a conoscenza dopo aver letto in anteprima il nuovo libro “Frankly, we did win this election” di Mike Bender. (In uscita il 13 luglio)
In alcune zone degli Stati Uniti la situazione relativa al Covid sta pian piano peggiorando. Si tratta soprattutto di stati, come Arkansas e Missouri, che hanno un basso livello di protezione vaccinale
L'amministrazione Biden ha annunciato un cambio di passo relativo al tema degli arresti per persone trovate senza documenti. Non potranno più essere condotte in carcere le persone in cinta o quelle che hanno partorito da poco tempo
Il Pentagono e l'amministrazione Biden starebbero pensando ad una serie di misure prese in considerazione per rispondere agli attacchi hacker che provengono con ogni probabilità dalla Russia
Il Presidente Joe Biden ha ironizzato nei confronti del leader della minoranza repubblicana al Senato, Mitch McConnell (R-Ky.), che nei giorni scorsi si era vantato dei benefici per i suoi elettori in Kentucky dell'American Rescue Plan, il pacchetto di stimolo economico approvato con i soli voti democratici ad inizio anno. "Mitch McConnell ama i nostri programmi", ha detto Biden ai reporter riuniti in Illinois durante una visita per promuovere il suo piano sulle infrastrutture. "Lo vedete che ha detto McConnell? Mi aveva detto che non mi avrebbe fatto avere nessun voto per permettermi, con l'aiuto di tutti gli altri, di approvare il programma per la crescita economica da 1,9 miliardi di dollari. Ed oggi si sta vantando dei suoi risultati in Kentucky".
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