La guida ai risultati delle midterm
Martedì 8 novembre, negli Stati Uniti, si sono tenute le elezioni di metà mandato per il rinnovo della Camera dei Rappresentanti e di un terzo del Senato. A causa dei tempi lunghi per lo scrutinio in alcuni stati, non sappiamo ancora con certezza chi avrà la maggioranza alla Camera, mentre i Democratici hanno mantenuto il controllo della Upper House e potrebbero conquistare un altro seggio vincendo il ballottaggio in Georgia.
Nonostante un quadro ancora incerto, è già possibile tracciare i primi bilanci di una tornata che ha riservato diverse sorprese.
Risultato incerto, ma già una certezza: niente Red Wave
Una cosa è certa, è stato un voto a sorpresa. A distanza di diversi giorni dalle midterm, gli Stati Uniti non sanno ancora chi ha vinto le elezioni: un risultato inatteso ed in contrasto con alcune previsioni della vigilia, che parlavano di una possibile “Red Wave”, ovvero di una vittoria a valanga del Partito Repubblicano. Questo scenario non si è verificato, dal momento che i Democratici manterranno (e forse espanderanno) la loro maggioranza al Senato, mentre, se il GOP avrà il controllo della Camera, lo farà per pochissimi seggi.
Andiamo con ordine e partiamo dal Senato. I Democratici hanno ottenuto una vittoria importante in tre stati chiave: il primo è la Pennsylvania, con John Fetterman che ha avuto la meglio su Mehmet Oz, il secondo è l’Arizona, dove è stato riconfermato l’uscente Mark Kelly, e il terzo è il Nevada con la senatrice Catherine Cortez-Masto che ha ottenuto la vittoria, dopo alcuni giorni in cui il risultato era apparso incerto. In Georgia, invece, si andrà al ballottaggio, in programma il prossimo 6 dicembre.
I Repubblicani hanno avuto la meglio nelle delicate sfide del Wisconsin, della North Carolina e dell’Ohio, oltre ad aver riportato una convincente vittoria anche in Florida (dove hanno trionfato anche in contee storicamente Democratiche, spostando decisamente più a destra lo stato).
Per quanto riguarda le sfide dei governatori, i Repubblicani potrebbero avere motivi per sorridere. In Nevada, Joe Lombardo va infatti verso la vittoria contro l’uscente Steve Sisolak, mentre in Arizona la sfida fra Katie Hobbs (D) e Kari Lake (R) è più tirata del previsto, ma quest’ultima potrebbe strappare la vittoria. Importanti e previsti i successi di Ron De Santis (Florida), Brian Kemp (Georgia) e Greg Abbott (Texas).
I Democratici ottengono una vittoria importante in Michigan, dove Gretchen Whitmer è stata rieletta ed il Partito, per la prima volta dopo quarant’anni, controllerà anche entrambi i rami del Congresso. Preziosi anche i successi di Tony Evers (Wisconsin) e Josh Shapiro (Pennsylvania), nonché Tina Kotek (Oregon, la sua vittoria era stata messa in dubbio da qualche sondaggista) e Laura Kelly (Kansas).
I vincitori di questa elezione
Parlare di “vincitori” con lo spoglio ancora in corso può forse apparire una forzatura, ma è evidente che da questa tornata diversi esponenti politici ne escono senza dubbio rafforzati. Il primo è inevitabilmente Joe Biden: se con la probabile perdita della maggioranza alla Camera dei Rappresentanti il presidente dovrà essere necessariamente aperto a compromessi, mettendo da parte alcuni elementi della sua ambiziosa agenda, l’inquilino della Casa Bianca può vantare una situazione decisamente migliore rispetto a molti suoi predecessori.
Contrariamente alle passate midterm (ed alle previsioni della vigilia) il margine di svantaggio alla Camera sarà solamente di pochi seggi, elemento che rende possibile trovare intese bipartisan che potrebbero permettere di far passare comunque provvedimenti importanti e rendono più difficile l’ostruzionismo dell’opposizione. Dal momento che le nomine presidenziali passano dal Senato, inoltre, aver mantenuto la maggioranza nella Upper House consentirà di fare passare le proprie scelte senza dover scendere a compromessi, elemento che potrebbe risultare decisivo soprattutto in ottica Corte Suprema.
Il secondo vincitore è il governatore della Florida Ron De Santis: in una tornata in cui i candidati Repubblicani sono andati decisamente peggio del previsto in gran parte del paese, il suo successo a valanga rafforza la sua posizione di primissimo piano in vista delle presidenziali del 2024. Gran parte della stampa, infatti, lo considera già il frontrunner in pectore, con diversi esponenti del mondo conservatore che hanno già dichiarato l’appoggio in vista delle primarie, dove potrebbe profilarsi una sfida durissima con Donald Trump. Un sondaggio YouGov di ieri ha rilevato che tra gli elettori Repubblicani il 42% lo vorrebbe come candidato per le presidenziali nel 2024, percentuale che solo un mese fa era al 35%.
Un altro candidato che esce rafforzato da questa tornata è il senatore John Fetterman: dopo essere stato a lungo il favorito per vincere il seggio in Pennsylvania, l’esponente Democratico era apparso in svantaggio negli ultimi sondaggi anche a causa delle sue precarie condizioni di salute. Il suo risultato, però, è stato superiore alle aspettative, anche a causa dell’ottima capacità di conquistare consenso fra la working class che in passato ha votato Repubblicano.
Gli sconfitti di questa elezione
Se Ron DeSantis rientra fra i grandi vincitori della tornata, l’altra faccia della medaglia riguarda inevitabilmente Donald Trump, senza dubbio il più grande sconfitto di queste midterm. Nel corso della campagna elettorale il tycoon è stato al centro della scena, dando l’appoggio quasi esclusivamente a candidati a lui fedeli (e spesso poco convincenti), ponendo le basi per una possibile ricandidatura nel 2024.
Il risultato è stato pessimo: gran parte dei suoi candidati (come Mehmet Oz in Pennsylvania e Doug Mastriano in Pennsylvania, nonché Blake Masters in Arizona) sono andati incontro a pesanti sconfitte. La conseguenza peggiore, però, riguarda la sua presa sul partito, dato che in virtù di questo risultato sono molti gli esponenti del mondo conservatore che gli stanno chiedendo un passo di lato in vista del 2024. Sono arrivati anche numerosi attacchi diretti, in cui Trump è stato definito il responsabile delle difficoltà avute in questa tornata, in virtù delle poche chance di vittoria: l’esempio più lampante, probabilmente, è quello di Fox News, la più importante televisione conservatrice che con un articolo ha incoronato la leadership di DeSantis, individuando invece in Trump la causa del deludente risultato elettorale.
Ad essere sconfitti, inoltre, sono stati quasi tutti i candidati che hanno messo in dubbio il risultato elettorale del 2020 ed evocato teorie cospirazioniste al riguardo, segno che la difesa della democrazia è stato un elemento importante nello spingere gli elettori alle urne.
Una posizione diversa e ambigua è quella di Kevin McCarthy: il leader Repubblicano alla Camera potrebbe presto diventare Speaker al posto di Nancy Pelosi, ma è inevitabile sottolineare come il risultato della tornata sia stato più che deludente. Qualora il GOP dovesse avere la maggioranza, infatti, quest’ultima sarà di pochi seggi (le previsioni più pessimistiche parlavano di una quindicina di seggi): un numero che potrebbe anche mettere in discussione la sua elezione a Speaker, visti alcuni malumori interni alle fila dello stesso partito che rischiano di fargli mancare i voti necessari.
Un ultimo sconfitto, inoltre, è il Democratico Patrick Maloney, figura di primissimo piano nel Partito, a capo del Democratic Congressional Campaign Committee. Sebbene quest’ultimo abbia deciso di correre in un distretto diverso da quello solito (a causa del redistricting che ha spostato la sua residenza dal 17 al 18), si trovava comunque in un’area in cui Biden ha vinto con ampio margine nel 2020. Con la sua sconfitta, per la prima volta dal 1980 un candidato in un ruolo così alto all’interno di un Partito ha perso le general election.
Il “caso” New York, che potrebbe costare ai democratici la maggioranza
Quando pensiamo allo stato di New York dal punto di vista politico, l’associamo inevitabilmente al Partito Democratico, che qui da decenni vince con ampio margine e che non perde le presidenziali dal 1984. In questa tornata, però, il risultato è stato decisamente inferiore alle aspettative e potrebbe costare la maggioranza alla Camera dei Rappresentanti, dal momento che i Repubblicani hanno vinto alcuni seggi in bilico che rischiano di risultare decisivi.
Andiamo però con ordine tornando indietro nel tempo, quando il redistricting dei collegi statali fu rigettato dalla Corte Suprema dello stato in quanto troppo favorevole per i Democratici. Il Partito Repubblicano, inoltre, ha fatto una campagna elettorale improntata molto sul tema della sicurezza e della lotta al crimine che ha fatto presa in molte aree, come i suburbs di Long Island e Hudson Valley: come risultato, ben quattro seggi sono passati dai Democratici al GOP, come non è avvenuto in nessun altro stato.
Questo guadagno, in uno degli stati più Democratici della Nazione, potrebbe essere decisivo. A causarlo non è stata solo la questione sicurezza: anzitutto un grande traino è stato fornito dalla sfida per la carica di governatore, dove la Repubblicana Lee Zeldin ha fatto particolarmente bene contro una spenta Kathy Hocul (governatrice uscente, che era subentrata in corsa dopo le dimissioni di Andrew Cuomo).
A questo si aggiungono anche le numerose divisioni interne al Partito Democratico locale, testimoniate perfettamente dalle dichiarazioni rilasciate poco dopo il voto da Alexandra Ocasio-Cortez: “Non è un segreto, la leadership del partito nello Stato di New York si basa sui soldi e su un modo vecchio di fare politica staccato dalle esigenze reali della gente”.
Una valanga Repubblicana in Florida
Ron DeSantis e il Partito Repubblicano hanno ottenuto un risultato storico in Florida, con risultati straordinari sotto ogni punto di vista. DeSantis ha sconfitto il suo avversario Charlie Crist con oltre 19 punti di scarto, sfiorando il 60% e lasciando al suo avversario solo 5 contee su 67. Numeri che per i repubblicani si sono visti raramente e solo nel secolo scorso.
DeSantis ha vinto, e nemmeno di poco, numerose contee che negli anni sono state delle inespugnabili roccaforti democratiche. Negli ultimi 6 anni sono avvenuti dei cambiamenti clamorosi: Miami-Dade si è spostata di oltre 40 punti a destra (da Clinton +30 a DeSantis +11), Palm Beach è passata da Clinton +15 a DeSantis +3, Hillsborough (Tampa) da D+7 a R+9. Altre storiche roccaforti democratiche hanno visto erodere il consenso per i Dem: Broward passa da Clinton +35 a Crist +15, Orange (Orlando) da Clinton +24 a Crist +7. DeSantis ha migliorato il risultato di Trump anche in contee come Duval (Jacksonville, da -4 a +11) e Osceola, contea a maggioranza portoricana, da -14 a +7.
Non solo DeSantis e i Repubblicani hanno dominato il voto ispanico, ma hanno anche stravinto la sfida dell’affluenza alle urne. L’affluenza quest’anno è stata appena del 53%, e la disaffezione alle urne ha colpito sproporzionatamente un elettorato democratico evidentemente poco entusiasta e motivato. I Repubblicani hanno avuto un 15% in più di affluenza rispetto ai Democratici, e ciò ha permesso di avere un elettorato totale al 46% Repubblicano, al 33% Democratico e per il 21% Indipendente. Hanno votato circa 900.000 elettori registrati Repubblicani in più rispetto ai Democratici, una differenza mai vista in passato.
Ron DeSantis ha dimostrato di avere una presa fortissima non solo sull’elettorato Repubblicano, ma evidentemente anche sull’elettorato Indipendente e moderato e persino su una fetta di elettorato tradizionalmente Democratico, in particolare le minoranze. Questo risultato proietta il governatore probabilmente verso lidi nazionali più ambiziosi, ma lascia anche in dote al Partito Repubblicano della Florida una macchina perfetta, una presa granitica sull’elettorato e un bacino di voti prezioso per il futuro.
Tante sfide ancora in bilico: dove si deciderà la maggioranza alla Camera?
Alla Camera al momento sono stati assegnati 211 seggi al GOP e 201 ai Dem, lasciando quindi 23 seggi ancora in gioco. I Dem saliranno a 203 una volta che sarà completato lo spoglio con il Ranked Choice Voting in Alaska e Maine-02.
Dei restanti 21 seggi, ben 13 si trovano in California, dove lo spoglio procede come sempre a rilento. CA-06, CA-09, CA-21, CA-26 e CA-35 andranno ai democratici in quanto i distacchi sono ormai insormontabili.
Negli altri seggi, al momento sorridono maggiormente ai Democratici il seggio 49 di Mike Levin e il seggio 47 di Katie Porter, che hanno un vantaggio ridotto ma difficilmente colmabile dai voti rimanenti.
Tra i seggi in bilico più favorevoli al GOP troviamo attualmente CA-03 (Riley, R+6), CA-45 con l’incumbent Steel (R+8) e CA-27 con l’incumbent Mike Garcia (R+12), sebbene i democratici stiano recuperando terreno con i voti post-Election Day. Non si può dare per certa la vittoria del GOP in questi seggi.
Del tutto impronosticabili invece le altre 3 corse: il distretto 13 dove Duarte (R) è avanti di 0.02 punti, il distretto 41 con Calvert (R) avanti di 1.600 voti e il distretto 22 dove il deputato Valadao (R) prova a resistere in un distretto fortemente sfavorevole (al momento è avanti di 6 punti).
Fuori dalla California, difficilmente cambieranno colore il seggio 22 di New York (R+2) e il seggio 8 del Colorado (D+0.7), entrambi con spoglio praticamente ultimato. Anche il seggio della repubblicana Lauren Boebert (CO-03) ha praticamente ultimato lo spoglio, ma il vantaggio ridotto di Boebert (1.100 voti) porterà sicuramente a un riconteggio.
Rimangono infine da assegnare i seggi negli stati dove si vota principalmente via posta e che sono ancora indietro nello spoglio: uno a Washington (WA-03), due in Oregon (OR-05 e OR-06) e due in Arizona (AZ-01 e AZ-06). Tutti sono racchiusi in pochi punti, con i repubblicani che sono molto favoriti in OR-05 e sperano di conquistare i due seggi in Arizona con gli ultimi voti postali che dovrebbero essere più favorevoli al partito.
Al momento è incerto chi potrà ottenere la maggioranza alla Camera, ma i repubblicani appaiono messi meglio. Potrebbero arrivare fino a 222-224 in uno scenario particolarmente favorevole, più probabile il range 218-220. Da non escludere del tutto una maggioranza minima 218-217.
Niente Red Wave, ma i sondaggi sono stati comunque accurati
Nell’analizzare come sono andati i sondaggi in questa tornata elettorale, va fatta una doverosa distinzione: quella fra i sondaggi stessi ed i Forecast. I primi riguardano direttamente le singole corse o il generic ballot, mentre i secondi sommano tutte queste rilevazioni per sondare la probabilità che ciascun partito ha di poter vincere una determinata sfida.
Se negli ultimi giorni erano apparsi Forecast che indicavano i Repubblicani come grandi favoriti per la conquista della Camera (con percentuali anche superiori all’80%), infatti, questo non implicava certo che il margine avrebbe dovuto essere ampio. Una Red Wave era definita possibile, ma sicuramente non scontata. Anzi, tutti gli analisti nei giorni precedenti al voto sottolineavano come la situazione fosse particolarmente incerta, e come sarebbe bastato uno slittamento di pochissimi punti percentuali (spesso entro il margine d’errore nei sondaggi) per passare da una Red Wave ad una vittoria di misura. Quest’ultimo scenario, infatti, è senza dubbio poco positivo per i Repubblicani, che in una situazione del genere (con l’inflazione alle stelle ed un presidente impopolare) avrebbero potuto guadagnare molti più seggi.
Come sottolinea l’Economist, quest’anno i sondaggi sono stati particolarmente accurati: nonostante lo spoglio non sia ancora completato, è prevedibile che la percentuale di vantaggio dei Repubblicani non sia destinata a variare granché. Al momento, infatti, il GOP ha circa il 50,8% dei voti, assolutamente in linea con le previsioni, che indicavano il 50,4%. Anche al Senato, i sondaggi sono stati in grado di prevedere molto bene quale sarebbe potuto essere il risultato finale: in Ohio, ad esempio, era prevista una vittoria di Tim Ryan con sei punti di vantaggio e questo è avvenuto.
Si tratta, secondo l’Economist, di un risultato nettamente in contrasto con quanto avvenuto nel 2020, dove il risultato di Trump in Ohio fu sottostimato di ben sei punti e quello di Biden in Iowa sovrastimato di otto. Nel complesso, se due anni fa i Democratici furono sovrastimati di quasi cinque punti, quest’anno i sondaggi hanno centrato con grande precisione il risultato in quasi tutti gli stati.
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