La proposta shock di Trump per Gaza
Nel nostro approfondimento settimanale parliamo della proposta di Trump sulla striscia di Gaza e della guerra commerciale con Canada e Messico
Trump e la proposta shock su Gaza
Nella giornata di mercoledì Donald Trump si è lasciato andare ad un'altra proposta particolarmente controversa. Durante l'incontro nello Studio Ovale con il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, il tycoon ha descritto Gaza come un "sito di demolizione" e "un inferno", sostenendo che i palestinesi non avrebbero alcun motivo di farvi ritorno, se venissero reinsediati altrove in pace. Il presidente ha anche messo in discussione la politica dei “Due Popoli, Due Stati” che da ormai 30 anni è portata avanti dall'amministrazione americana. ”Stanno chiedendo una sola cosa. Sapete cosa? La pace”, ha infatti dichiarato, chiudendo implicitamente la porta alla nascita di una nazione palestinese.
La portavoce della Casa Bianca, Karoline Leavitt, ha dichiarato che Trump non si è impegnato a inviare truppe a Gaza, ma non ha nemmeno escluso questa opzione, spiegando che il presidente vuole "preservare quella leva per i negoziati". Ha difeso l'approccio di Trump, affermando che sta cercando di pensare "fuori dagli schemi" per risolvere un conflitto che dura da generazioni. "È così che è il presidente, ed è per questo che gli americani lo hanno eletto", ha aggiunto, sottolineando che il suo obiettivo è una pace duratura, dopo anni di soluzioni fallimentari.
L'idea del presidente è quella di reinsediare le popolazioni che vivono in quei territori in paesi vicini, come Giordania o Egitto, esprimendo ottimismo sul fatto che i leader di questi stati "apriranno i loro cuori" all'idea nel tempo, nonostante le loro ferme opposizioni già espresse più volte. Netanyahu, presente alla conferenza stampa, non ha esplicitamente appoggiato la proposta ma l'ha definita "un'idea diversa" che potrebbe "cambiare la storia", lodando Trump come "il più grande amico che Israele abbia mai avuto alla Casa Bianca".
La volontà espressa dal presidente è quella di trasformare la zona in una “Riviera del Medio Oriente”, a disposizione di israeliani, palestinesi e di tutte le popolazioni mondiali. A riguardo, come sottolinea The Hill, va comunque sottolineato come il tycoon non abbia espresso chissà quali dettagli relativi al suo piano. Trump ha affermato che tutti i palestinesi dovrebbero essere trasferiti, ma non ha chiarito come ciò potrebbe avvenire. Come già detto, gli Stati Uniti vogliono convincere paesi vicini, come Egitto e Giordania, ad accogliere i rifugiati palestinesi, forse attraverso aiuti economici. Tuttavia, questo piano comporta rischi politici per questi governi, che potrebbero affrontare proteste interne e instabilità se percepiti come complici della scomparsa del popolo palestinese.
Questa proposta, però, non ha trovato d'accordo tutti i Repubblicani. Nonostante il saldo controllo di Trump sul partito, diversi esponenti del GOP hanno espresso perplessità, in linea con l'orientamento anti-interventista. Il senatore Rand Paul ha criticato l’idea di un nuovo intervento militare, mentre Lindsey Graham ha sottolineato la scarsa volontà degli americani di inviare truppe a Gaza. Anche Josh Hawley ha messo in dubbio l’uso delle risorse statunitensi per questa operazione. In ogni caso va considerato come il Segretario di Stato Marco Rubio abbia assunto una posizione più conciliante, parlando di una “ricollocazione temporanea” dei palestinesi in attesa della ricostruzione.
Ovviamente non sono mancate neanche le reazioni da parte degli altri paesi. In Europa, la Germania ha definito l'idea "inaccettabile" e contraria al diritto internazionale, mentre la Francia l'ha giudicata "pericolosa" per la stabilità regionale. Anche il Regno Unito ha espresso contrarietà, con il premier Keir Starmer che ha ribadito il diritto dei palestinesi a tornare nelle loro comunità. Nei Paesi arabi, la reazione è stata ancora più dura. Il presidente palestinese Mahmoud Abbas ha promesso di difendere i diritti del suo popolo, mentre l'Arabia Saudita ha ribadito che non stabilirà relazioni diplomatiche con Israele senza garanzie per i palestinesi. La Giordania, particolarmente esposta, considera lo spostamento forzato dei palestinesi nel proprio territorio una minaccia esistenziale.
Questa scelta, del testo, si inserisce in un quadro politico nel quale lo stesso tycoon si era mostrato molto più vicino a Israele rispetto al suo predecessore. Trump, infatti, ha firmato un ordine esecutivo che blocca in modo permanente i finanziamenti statunitensi all’UNRWA (l’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi), che fornisce servizi essenziali come sanità, istruzione e aiuti alimentari a milioni di palestinesi. Ha inoltre autorizzato un pacchetto di aiuti militari da 1 miliardo di dollari a Israele, comprendente 700 milioni di dollari in bombe da 1.000 libbre e 300 milioni di dollari in bulldozer corazzati, revocando anche il blocco imposto da Biden sulla consegna di bombe da 2.000 libbre, rifornendo Israele con 1.800 di questi ordigni in pochi giorni.Il giorno del suo insediamento, ha anche annullato l’Ordine Esecutivo 14115 della passata amministrazione, che imponeva sanzioni contro coloni e gruppi israeliani responsabili di attacchi ai palestinesi.
Commentare queste notizie, in ogni caso, non è semplice. Quanto fatto da Trump fin qui, infatti, si può dividere in due grandi categorie. Da un lato ci sono le sue proposte politiche concrete, in cui rientrano ad esempio la guerra alla migrazione illegale, i dazi (come vedremo dopo, già ritirati) sui paesi alleati, il tentativo di ridurre i costi governativi favorendo una serie di licenziamenti dei membri federali (anche qui, la riuscita e incerta e i tribunali sono già all’opera per bloccarli). Dall’altro quelle che potremmo definire le sparate, fatte più per avere risonanza mediatica che per portare a termine qualcosa. In questo caso rientra ad esempio i tentativi (pressocché impossibili da realizzare) di cancellare lo ius soli o di ricandidarsi per un terzo mandato, oltre appunto alla sua proposta di pace per Gaza.
Ottenere la collaborazione dei paesi vicini, infatti, sembra molto complesso. Non va dimenticato come, in ogni caso, alzare la posta è sempre stata una strategia del tycoon, spesso per ottenere condizioni favorevoli. Sarà anche questo il caso? Per avere una risposta basta attendere.
La guerra dei dazi di Trump
Il presidente Trump ha deciso di sospendere per un mese l’imposizione di nuovi dazi su Messico e Canada, dopo che entrambi i paesi si sono impegnati a rafforzare la sicurezza delle loro frontiere e a contrastare il traffico di fentanyl verso gli Stati Uniti. L’accordo è stato raggiunto dopo intense trattative, con il Messico che ha accettato di schierare 10.000 soldati lungo il confine con gli USA. Anche il Canada ha fatto concessioni significative, inviando lo stesso numero di truppe al confine, fornendo nuovi elicotteri e tecnologie contro l’immigrazione illegale, e nominando un “Fentanyl Czar” per combattere il traffico di droga.
Nonostante l’intesa, Trump ha continuato a criticare i due partner commerciali, ribadendo le sue preoccupazioni su immigrazione illegale, traffico di droga e squilibri commerciali. Il presidente ha inoltre reiterato forse la sua idea più controversa, affermando che gli piacerebbe che il Canada diventasse il 51º stato degli Stati Uniti. La possibilità di una guerra commerciale rimane sul tavolo, con il rischio di ritorsioni da parte di Messico e Canada, mentre l’Unione Europea ha avvertito che risponderà con fermezza se Trump decidesse di imporre dazi sui suoi stati membri. I mercati finanziari hanno reagito con preoccupazione, chiudendo leggermente in ribasso dopo un avvio pesante.
All’interno del Partito Repubblicano, in ogni caso, cresce la resistenza contro la politica dei dazi di Trump. Leader di spicco come Mitch McConnell e Chuck Grassley hanno messo in guardia sugli effetti negativi dei dazi sull’economia americana, sottolineando che potrebbero aumentare i prezzi per i consumatori e danneggiare le aziende statunitensi. Anche il senatore Ron Johnson ha espresso preoccupazioni simili, affermando che le tariffe doganali potrebbero avere ripercussioni a lungo termine sugli esportatori americani.
Le altre notizie della settimana
In questa sezione riassumiamo alcune delle altre notizie più importanti della settimana nella politica americana. Sul nostro sito FocusAmerica.it, invece, potrete restare quotidianamente aggiornati su tutto ciò che accade negli Stati Uniti.
L’amministrazione Trump, con il supporto di Elon Musk, sta smantellando l’Agenzia degli Stati Uniti per lo Sviluppo Internazionale (USAID), provocando tensioni con i dipendenti federali e i Democratici. Il Segretario di Stato Marco Rubio è stato nominato amministratore ad interim mentre il governo valuta la chiusura o l’integrazione dell’agenzia nel Dipartimento di Stato. Trump ha definito l’USAID una “organizzazione criminale” e Rubio ha sottolineato che i fondi pubblici devono servire solo interessi nazionali, non opere di beneficenza globale. Intanto, il sito dell’agenzia è stato oscurato, centinaia di appaltatori licenziati e i dipendenti bloccati dagli account di lavoro.
Musk, a capo del nuovo Dipartimento per l’Efficienza Governativa (DOGE), ha anche interrotto i pagamenti del Tesoro ai fornitori federali, scatenando polemiche tra i Democratici. La senatrice Elizabeth Warren ha chiesto spiegazioni al Segretario del Tesoro, definendo l’operazione “estremamente pericolosa”. Il senatore Brian Schatz ha annunciato che bloccherà tutte le nomine diplomatiche di Trump finché l’USAID non verrà ripristinata. Trump ha minimizzato, affermando che Musk non può agire senza l’approvazione della Casa Bianca.
Un giudice federale ha temporaneamente vietato l’accesso ai sistemi del Dipartimento del Tesoro alla maggior parte dei funzionari dell’Amministrazione Trump, inclusi Elon Musk e il suo Dipartimento per l’Efficienza Governativa (DOGE). La decisione, presa su richiesta di 19 Stati democratici, mira a prevenire il rischio di divulgazione di dati sensibili e manipolazioni finanziarie. Questo provvedimento si inserisce in una serie di interventi giudiziari volti a bloccare le iniziative dell’amministrazione per riorganizzare rapidamente la burocrazia federale.
Nonostante le promesse elettorali di tolleranza zero, l'Amministrazione Trump ha rilasciato 461 immigrati irregolari dall’inizio del suo secondo mandato, secondo fonti del DHS. Il sistema detentivo, già sotto pressione con oltre 41.500 persone in custodia, ha costretto il governo a ricorrere alla pratica del "catch and release", criticata dallo stesso Trump in passato. Per aumentare la capacità di detenzione, l’amministrazione sta ampliando le strutture, incluse quelle a Guantanamo Bay, e stringendo accordi con governi stranieri per le espulsioni. Tuttavia, la realtà operativa si scontra con le promesse politiche, rendendo la gestione dell’immigrazione una sfida complessa.
Donald Trump ha annunciato un ordine esecutivo per abolire la decisione di Biden sulle cannucce di carta, ripristinando quelle di plastica. La mossa si inserisce in una più ampia revisione delle politiche ambientali, smantellando gradualmente le restrizioni sulla plastica monouso imposte dall'amministrazione precedente.
Mentre Biden puntava a eliminare la plastica nei servizi federali entro il 2035 per ridurre l’inquinamento, studi recenti hanno sollevato dubbi sulla reale sostenibilità delle alternative. Il provvedimento di Trump rappresenta una vittoria per l’industria petrolchimica e conferma il suo approccio più favorevole al settore energetico rispetto alle politiche ambientali restrittive di Biden.
Due giudici federali hanno fermato altrettante iniziative dell’Amministrazione Trump: le restrizioni alla cittadinanza per diritto di nascita (ius soli) e il programma di buy out per i dipendenti federali. Il giudice John Coughenour ha emesso un’ingiunzione nazionale contro l’ordine esecutivo sullo ius soli, criticando duramente l’approccio del presidente e difendendo lo stato di diritto. Nel frattempo, un altro giudice ha esteso la scadenza del buy out, dando più tempo ai lavoratori per valutare l’adesione. Questi blocchi segnano un primo ostacolo legale per l’amministrazione e rafforzano il ruolo della magistratura come limite al potere esecutivo.
Donald Trump ha firmato un decreto che vieta alle atlete transgender di partecipare a competizioni sportive femminili nelle scuole americane, minacciando il taglio dei finanziamenti federali per gli istituti che non rispettano la misura. Il provvedimento si inserisce in una più ampia strategia dell’amministrazione contro i diritti transgender, già colpiti dal divieto di servizio nell’esercito e da restrizioni sulle procedure di transizione per i minori. Mentre gruppi conservatori esultano, associazioni per i diritti civili denunciano un attacco discriminatorio volto a creare divisioni piuttosto che a tutelare l’equità nello sport.