La repressione trumpiana contro la sinistra
Trump ha reagito all'omicidio di Kirk accusando la “sinistra radicale” di alimentare l’odio e parlando apertamente di “feccia” e di “terrorismo interno”.
La morte di Charlie Kirk non ha creato quell’unità che generalmente si genera nei momenti di lutto nazionale, ma ha piuttosto inasprito lo scontro politico. Donald Trump ha reagito con toni incendiari, accusando la “sinistra radicale” di alimentare l’odio e parlando apertamente di “feccia” e di “terrorismo interno”. Dal canto suo Nancy Mace, deputata repubblicana della Carolina del Sud, ha tentato di censurare la deputata Ilhan Omar, chiamando in causa la sua religione e le sue origini. La censura in aula è uno strumento di condanna politica che, pur non avendo conseguenze legali, serve a stigmatizzare ufficialmente un parlamentare. Nel frattempo, Randy Fine, deputato della Florida, è arrivato a dichiarare che “l’Islam non è compatibile con i valori americani”. Al Senato, persino le audizioni con il direttore dell’FBI Kash Patel sono finite in urla e insulti, segno di un sistema istituzionale che fatica ormai a mantenere le regole minime del confronto.
Parallelamente, l’amministrazione ha deciso di muovere la partita sul terreno legale. Trump ha rilanciato l’idea, già ventilata durante il suo primo mandato, di classificare “Antifa” come organizzazione terroristica domestica, e ha chiesto alla procuratrice generale Pam Bondi di valutare l’applicazione del RICO Act — la legge antimafia di Nixon — contro reti accusate di finanziare il caos. Nel mirino sono finite piattaforme di fundraising come ActBlue (principale strumento di raccolta fondi per candidati e associazioni progressiste), reti di attivismo come Indivisible (nata nel 2016 per organizzare la resistenza locale contro Trump) e persino fondazioni come la Open Society Foundations (rete filantropica fondata da George Soros che finanzia progetti per i diritti umani e la democrazia). Pur senza prove concrete, la Casa Bianca ha evocato uno scenario di “reti terroristiche” da smantellare. Stephen Miller ha promesso di usare “ogni risorsa disponibile” del governo per eliminare questi gruppi, mentre il vicepresidente JD Vance ha accusato ONG e associazioni progressiste di fomentare la violenza. Anche episodi di protesta contro ICE o atti vandalici contro Tesla sono stati collegati a un presunto disegno politico della sinistra. In questo modo, uno strumento concepito per colpire la criminalità organizzata rischia di diventare un grimaldello per criminalizzare il dissenso politico.
Il terzo fronte riguarda la libertà di parola e la gestione dei cosiddetti “discorsi d’odio”. L’Attorney General Pam Bondi (bene o male l'equivalente del nostro ministro della giustizia) ha sostenuto che i discorsi d’odio che si trasformano in minacce non sono protetti dal Primo Emendamento e ha promesso indagini su chi festeggia la morte di Kirk. Le sue parole hanno scatenato polemiche anche a destra: Matt Walsh, commentatore conservatore di Daily Wire, ha ricordato che “non esiste nessuna legge che vieti di dire cose odiose”, mentre Ted Cruz, senatore repubblicano del Texas, ha ribadito che il Primo Emendamento protegge persino i discorsi “orribili”, pur riconoscendo che chi si espone pubblicamente deve affrontarne le conseguenze sociali.
Erick Erickson, conduttore radio e opinionista conservatore, è stato ancora più duro, definendo Bondi “un’idiota” per aver confuso libertà di parola e hate speech. Nonostante le correzioni successive, le sue dichiarazioni hanno alimentato un clima di paura: nelle università e persino nelle forze armate sono state avviate sospensioni disciplinari per chi aveva commentato la morte di Kirk. Il Pentagono ha dichiarato che non tollererà funzionari o soldati che celebrano un “atto di terrorismo domestico”.
Nel frattempo, online è partita una campagna con l’hashtag #RevolutionariesintheRanks per segnalare i militari sospettati di aver criticato Kirk. Diversi ufficiali sono già stati sospesi, compresa una consigliera legale di alto livello. Ex funzionari dell’aeronautica avvertono che questa deriva rischia di trasformare l’esercito da istituzione apolitica a spazio di sorveglianza politica. Il risultato complessivo è un restringimento degli spazi di libertà, dove opinioni e dissenso vengono sempre più spesso equiparati a minacce.
Non solo Kirk. La destra USA e il tentativo di stretta sui media
Il caso mediatico più eclatante degli ultimi giorni è stata la sospensione “indefinita” dello show di Jimmy Kimmel su ABC, dopo alcune battute sull’assassinio di Charlie Kirk e sul lutto di Trump. La decisione è arrivata a seguito delle minacce del presidente della FCC, Brendan Carr, che aveva parlato di un “tentativo organizzato di mentire al popolo americano” e lasciato intendere possibili sanzioni contro l’emittente. Per molti osservatori si è trattato di un cedimento alle pressioni politiche: Robert Iger e Dana Walden hanno scelto di fermare Kimmel, mentre Carr ha definito l’episodio un “punto di svolta” e Trump ha celebrato la rimozione. È il secondo late show cancellato in pochi mesi dopo quello di Stephen Colbert sulla CBS, anch’esso sospettato di essere stato colpito per ragioni politiche. Nel frattempo Trump ha rilanciato, ipotizzando la revoca delle licenze ai network critici e affidando a Carr la valutazione delle opzioni. La commissaria democratica Anna Gomez ha replicato che la FCC “non ha né l’autorità né il diritto costituzionale” per un simile intervento. Per i Democratici, il caso rappresenta un attacco diretto al Primo Emendamento.
Ma la sospensione di Kimmel è solo un tassello di un processo più ampio che sta ridisegnando il panorama mediatico americano. Come ha sottolineato un'analisi del New York Times, attorno a Trump si muove un network di alleati che acquisisce quote decisive di televisioni e piattaforme digitali. Skydance ha comprato Paramount, ottenendo così il controllo di CBS News e nominando un ombudsman conservatore incaricato di vigilare sulle lamentele sulla copertura. Oracle, insieme a Silver Lake e Andreessen Horowitz, tratta l’acquisto di TikTok USA, che consegnerebbe a un alleato di Trump un’influenza diretta su una delle piattaforme più popolari tra i giovani. Elon Musk ha trasformato Twitter/X nella piazza centrale del movimento MAGA, mentre Mark Zuckerberg ha eliminato il fact-checking da Meta e scelto dirigenti vicini alla Casa Bianca. Jeff Bezos e Patrick Soon-Shiong hanno spostato a destra la linea editoriale rispettivamente del Washington Post e del Los Angeles Times, mentre Univision e il Baltimore Sun hanno seguito la stessa direzione. Parallelamente, Trump ha avviato cause miliardarie contro il New York Times e altre grandi testate, accusandole di essere “megafoni democratici”. È la quarta denuncia per diffamazione dopo quelle contro ABC, CBS e il Wall Street Journal. Alcune aziende editoriali hanno preferito patteggiare pagando milioni di dollari, piuttosto che affrontare battaglie legali interminabili. Per molti manager dei media, la strategia dell’amministrazione ricorda un vero e proprio “manuale anti-stampa”, simile a quello adottato in regimi illiberali come Ungheria e Turchia.
Eppure, nonostante il fronte apparentemente compatto, all’interno del Partito Repubblicano emergono fratture. Ted Cruz, presidente della commissione che sovrintende alla FCC, ha definito i commenti di Carr “dannatamente pericolosi”, avvertendo che un domani potrebbero essere usati da un’amministrazione democratica per silenziare i conservatori. Preoccupazioni simili sono state espresse da Jerry Moran, senatore del Kansas, Brett Guthrie, deputato del Kentucky, e Lisa Murkowski, senatrice dell’Alaska, che hanno ricordato come la difesa della libertà di parola sia sempre stata una bandiera storica del conservatorismo. Altri, come Jim Jordan, presidente della Commissione Giustizia alla Camera, o Chuck Grassley, senatore dell’Iowa, hanno minimizzato, liquidando la sospensione di Kimmel come una normale decisione di mercato. Alla Camera, intanto, i repubblicani hanno bocciato con un voto di partito il tentativo dei democratici di citare Carr in commissione, mentre i Dem hanno promesso nuove audizioni. La vicenda rivela due cose: che la libertà di parola è ormai diventata terreno di battaglia politica, e che il consenso dentro il GOP è fragile, con la maggioranza disposta a seguire Trump anche a costo di aprire un precedente che potrebbe ritorcersi contro i conservatori stessi.
Le reazioni dei Democratici
I Democratici hanno reagito accusando Trump di strumentalizzare la tragedia per consolidare il potere. Chris Murphy ha avvertito che l’amministrazione sta preparando “una campagna per distruggere il dissenso politico”, mentre Josh Shapiro ha richiamato alla moderazione. Eric Swalwell ha attaccato Carr, dicendogli che “dovrà farsi un avvocato” se i Dem torneranno maggioranza, e Hakeem Jeffries e Katherine Clark hanno chiesto le sue dimissioni per “abuso di potere”. Barack Obama ha parlato di ipocrisia: dopo anni di lamentele sulla cancel culture, l’amministrazione Trump ne avrebbe creata una versione istituzionalizzata e autoritaria. Al Congresso, Ro Khanna ha definito l’intervento della FCC “il più grande attacco al Primo Emendamento nella storia moderna”, ma la sua mozione per citare Carr è stata respinta. Per i Democratici, il caso Kimmel è il simbolo della politicizzazione delle agenzie federali.
La Camera ha approvato una risoluzione che condanna la violenza politica ma celebra anche Kirk come difensore della libertà di parola. Il testo è passato con 310 voti favorevoli, 58 contrari e 38 presenti. La divisione è stata netta: i voti contrari sono arrivati soprattutto dai caucus delle minoranze, che hanno giudicato inaccettabile rendere omaggio a un attivista percepito come ostile ai diritti civili. Glenn Ivey ha ricordato che Kirk aveva criticato il Civil Rights Act del 1964 e Martin Luther King, mentre Alexandria Ocasio-Cortez lo ha definito un simbolo di retorica “ignorante e divisiva”. Nancy Pelosi e altri hanno preferito non votare, per non legittimare un messaggio che ritenevano tossico. Per i Democratici, il dilemma è stato evidente: sostenere la risoluzione significava offrire legittimità politica a un avversario; respingerla esponeva alle accuse di non voler condannare la violenza.
Un altro fronte aperto riguarda la governabilità. John Fetterman, senatore democratico della Pennsylvania, ha rotto la linea dura del partito, accusando i leader di incoerenza: chi denuncia la deriva autoritaria di Trump non dovrebbe consegnargli, tramite lo shutdown, il potere discrezionale di scegliere quali agenzie federali tenere aperte. Per questo ha annunciato che voterà a favore della misura ponte approvata dalla Camera. Chuck Schumer, invece, ha difeso una linea più rigida, sostenendo che i rapporti di forza siano cambiati e che ora i Democratici abbiano una nuova forza negoziale.
Sullo sfondo, il tema sicurezza e accademia: a Memphis, Trump ha firmato un ordine per l’invio della Guardia Nazionale senza che il sindaco democratico l’avesse chiesto, suscitando timori per la comunità afroamericana locale. Nelle università, il caso Berkeley ha aperto un nuovo fronte: una lista di docenti e studenti, tra cui Judith Butler, è stata trasmessa all’amministrazione Trump per presunti episodi di antisemitismo. Per molti accademici si tratta di un ritorno ai tempi del maccartismo, in netto contrasto con la storia del Free Speech Movement. La società civile e le associazioni dei docenti hanno reagito con lettere aperte e denunce, riaffermando che le università hanno obblighi non solo verso lo Stato, ma anche verso studenti e insegnanti titolari di diritti politici e accademici.
Free speech, cancel culture e la svolta del GOP
Negli ultimi anni i Repubblicani si erano imposti come paladini della libertà di parola, denunciando la cosiddetta cancel culture nelle università e nei media come un attentato ai valori americani. Leader come Ron DeSantis o lo stesso Trump avevano costruito intere campagne su questo tema, presentandosi come difensori di chi veniva “messo a tacere” dal politicamente corretto.
Ora, però, la risposta al caso Kirk mostra un cambio radicale: gli stessi che accusavano i progressisti di censura chiedono oggi di sospendere programmi televisivi, licenziare militari dissidenti e sorvegliare studenti e docenti. Per molti osservatori, il GOP ha trasformato la difesa della libertà di parola da principio universale a strumento di lotta politica a geometria variabile. In pratica, la cancel culture tanto criticata è stata sostituita da una cancel culture di governo, in cui il potere istituzionale viene usato per silenziare gli oppositori.
Le altre notizie della settimana
Tyler Robinson, 22 anni, è stato formalmente incriminato per l’assassinio con premeditazione di Charlie Kirk. Il procuratore della contea di Utah, Jeffrey Gray, ha annunciato che chiederà la pena capitale, sottolineando di aver preso questa decisione “in maniera indipendente” e basandosi “sulle prove disponibili, le circostanze e la natura del crimine”.
Dopo l’omicidio di Charlie Kirk, il deputato repubblicano Ronny Jackson ha definito le persone transgender un “virus” e un “cancro”, invocando istituzionalizzazione e censura.
Trump ha annunciato l’introduzione di una tassa annuale di 100.000 dollari per i visti H-1B, molto utilizzati nella Silicon Valley per assumere lavoratori stranieri altamente qualificati.
Funzionari dell’amministrazione Trump stanno discutendo con i talebani la riapertura della base aerea di Bagram come “punto di lancio” per missioni antiterrorismo.
Il conduttore di Fox & Friends Brian Kilmeade ha chiesto scusa in diretta per aver detto che i senzatetto con problemi psichici dovrebbero ricevere una “iniezione letale involontaria”.
Un’analisi di NBC News con Stanford mostra che dal 2019 il 77% delle contee americane ha registrato un calo nelle vaccinazioni infantili. Crescono le esenzioni scolastiche e gran parte del Paese non raggiunge più la soglia di immunità di comunità contro il morbillo.
Il Diparimento di Giustizia ha rimosso dal proprio sito uno studio che documentava come la violenza di matrice suprematista bianca ed estrema destra “continui a superare ogni altra forma di terrorismo ed estremismo violento interno” negli Stati Uniti.
Stephen Miller è diventato il più potente funzionario non eletto degli Stati Uniti. È quanto emerge da una lunga inchiesta pubblicata da Rolling Stone, che ricostruisce l’ascesa del consigliere politico e la sua influenza senza precedenti sulle decisioni della Casa Bianca.
In un’intervista a Meet the Press, Pete Buttigieg ha dichiarato che Joe Biden avrebbe dovuto ritirarsi prima del 2024. Anche Kamala Harris, in un’anticipazione del suo memoir, ha parlato di una scelta “spericolata”.