La spirale della violenza politica americana
Quando le opinioni diventano bersagli: l’escalation di minacce, attentati e omicidi nel dibattito pubblico statunitense
Il mondo della politica americana, questa settimana, è stato profondamente scosso dalla notizia dell’uccisione di Charlie Kirk, un evento che ha riacceso il dibattito sulla violenza politica negli Stati Uniti.
Chi era Charlie Kirk
Charlie Kirk è stato uno degli attivisti più influenti della destra americana contemporanea. Fondatore di Turning Point USA, ha creato quello che è diventato il più grande movimento giovanile conservatore del Paese, oggi presente in oltre 850 campus universitari. Con uno stile aggressivo e fortemente mediatico, Kirk ha trasformato l’attivismo studentesco in una macchina politica capace di registrare nuovi elettori, raccogliere ingenti donazioni e portare le battaglie della destra culturale dentro università, tradizionalmente considerate roccaforti liberal. Pur senza aver mai ricoperto incarichi pubblici, ha goduto di un accesso privilegiato alla Casa Bianca durante la presidenza Trump e ha avuto un ruolo decisivo nella mobilitazione dei giovani elettori repubblicani nel 2024.
Molte delle sue posizioni erano fortemente divisive e lo hanno reso protagonista di dibattiti affollati e spesso contestati nei campus. In particolare, ha fatto dell’opposizione alle politiche sui diritti LGBTQ+ uno dei cardini del suo impegno: ha incoraggiato studenti e genitori a segnalare docenti ritenuti promotori di “ideologia di genere” e, nel 2021, ha creato TPUSA Faith per intrecciare attivismo politico e comunità cristiane, con l’obiettivo dichiarato di contrastare il “wokeism”. Nei suoi interventi ha insistito sulla necessità di un ruolo più visibile delle chiese nella vita civile, richiamandosi a visioni teologiche che invitano i cristiani a esercitare leadership in settori chiave della società.
Il suo attivismo si è esteso anche ad altri temi. Sul diritto al possesso di armi ha difeso il Secondo Emendamento come garanzia contro un “governo tirannico”, proponendo di estendere la presenza di armi anche in scuole e spazi pubblici. Sul cambiamento climatico ha espresso forte scetticismo, negando l’esistenza di un consenso scientifico e ridimensionandone la portata politica. In materia di libertà di parola, Turning Point USA ha promosso iniziative simboliche e azioni legali in difesa del Primo Emendamento; allo stesso tempo, però, la Professor Watchlist — che elencava docenti con posizioni progressiste — è stata indicata da critici e osservatori come esempio di applicazione selettiva di quel principio.
Non meno controverse le sue posizioni sulla questione razziale. Kirk ha criticato il Civil Rights Act del 1964, che a suo avviso avrebbe alimentato discriminazioni “anti-bianche”, e si è opposto alle politiche di azione positiva. Ha espresso giudizi molto duri su figure simboliche come Martin Luther King Jr. e George Floyd, attirando ampie critiche. Alcune sue dichiarazioni lo hanno posto al centro di accuse di antisemitismo, per presunte vicinanze alla replacement theory e per i riferimenti ai filantropi ebrei nei movimenti antirazzisti, mentre i sostenitori ne ricordano il costante appoggio a Israele.
Le reazioni
Il primo a intervenire è stato Donald Trump. Dal Pentagono, prima della cerimonia per l’11 settembre, il presidente ha annunciato che avrebbe conferito a Charlie Kirk la Medal of Freedom, la più alta onorificenza civile, definendolo “un gigante della sua generazione, un campione della libertà”. L’omaggio presidenziale si è aggiunto alle dichiarazioni dei suoi predecessori: Biden, Obama, Bush e Clinton hanno diffuso note comuni per condannare la violenza politica e invitare a un ritorno a un dibattito pacifico. Sui social, il vicepresidente J.D. Vance ha pubblicato un lungo ricordo personale, parlando di Kirk come di “un vero amico”, e ha annunciato con la moglie Usha una visita a Salt Lake City per incontrarne la famiglia.
Al Congresso, però, l’unità si è incrinata subito. Lo Speaker Mike Johnson ha esortato a moderare i toni, ma altri repubblicani hanno rilanciato accuse contro la sinistra. Derrick Van Orden ha puntato il dito contro democratici e media, mentre Nancy Mace ha escluso che la vicenda sollevasse un problema legato alle armi, invocando invece la pena di morte con parole durissime: “giustizia rapida e una pallottola alla testa”. Intanto, nel mondo dell’informazione, MSNBC ha licenziato l’analista Matthew Dowd per aver definito Kirk promotore di “hate speech”, un commento ritenuto “inappropriato e insensibile” dalla presidente Rebecca Kutler.
In Utah, il governatore Spencer Cox ha scelto un registro diverso. In una conferenza stampa carica di emozione, ha invitato il Paese a “scegliere una strada diversa”, difendendo la libertà di parola e attaccando i social media, definiti “un cancro” della radicalizzazione. È stato lui ad annunciare l’arresto di Tyler Robinson, 22 anni, accusato di aver confessato il delitto a un familiare. Secondo le autorità, il giovane era mosso da un odio profondo verso le idee di Kirk. “Non è solo un attacco a un individuo, ma all’esperimento americano stesso”, ha detto Cox. Mentre il lutto si è tradotto in veglie e commemorazioni, il Paese è apparso diviso tra chi ha invocato calma e chi ha chiesto vendetta, segno che l’omicidio di Kirk rischia di diventare un nuovo punto di frattura nella già fragile politica americana.
L’ennesimo episodio di violenza politica
È inevitabile che quanto avvenuto nei giorni scorsi abbia riportato al centro del dibattito il tema della violenza politica. Negli ultimi anni, del resto, si è assistito a un costante aumento di episodi di questo tipo: l’assalto al Congresso del 6 gennaio 2021 è stato forse l’evento di maggiore risonanza mediatica, con centinaia di manifestanti che fecero irruzione a Capitol Hill nel tentativo di bloccare la certificazione della vittoria di Joe Biden. Poco più tardi, nell’ottobre 2022, la violenza ha raggiunto anche l’abitazione della speaker della Camera Nancy Pelosi: un uomo armato di martello ha fatto irruzione nella sua casa di San Francisco e ha aggredito il marito Paul Pelosi, fratturandogli il cranio, mentre la deputata si trovava a Washington.
Nel 2024 si sono susseguiti diversi episodi gravi. A luglio, durante un comizio a Butler in Pennsylvania, Donald Trump è stato ferito di striscio da un colpo di arma da fuoco esploso da Thomas Matthew Crooks, un ventenne appostato su un tetto a poche decine di metri dal palco: un proiettile ha colpito l’ex presidente all’orecchio, mentre un uomo del pubblico è rimasto ucciso e altre persone sono state ferite. Due mesi più tardi, a settembre, un altro uomo armato, Ryan Wesley Routh, è stato arrestato mentre tentava di avvicinarsi a Trump in un golf club della Florida, dando luogo al secondo attentato sventato contro di lui in meno di tre mesi. Nel dicembre dello stesso anno l’imprenditore Brian Thompson, amministratore delegato di UnitedHealthcare, è stato ucciso a colpi di pistola da Luigi Mangione in un parcheggio sotterraneo a Minneapolis; l’uomo è stato arrestato poche ore dopo e accusato di omicidio premeditato.
Nel 2025 la spirale non si è fermata. In aprile, la residenza del governatore della Pennsylvania Josh Shapiro è stata colpita da un attacco incendiario: nelle prime ore del mattino, Cody Allen Balmer ha scavalcato la recinzione e ha lanciato diverse bottiglie molotov contro l’edificio, frantumando le finestre e dando fuoco ad alcune stanze mentre Shapiro e la sua famiglia si trovavano all’interno. L’intervento rapido della sicurezza ha evitato vittime, ma l’attentatore è riuscito a causare ingenti danni prima di essere arrestato e incriminato per terrorismo e tentato omicidio. Nello stesso periodo, in Minnesota, la deputata democratica Melissa Hortman e il marito sono stati uccisi a colpi di arma da fuoco nella loro abitazione, in un omicidio che l’FBI ha collegato a motivazioni politiche. Pochi mesi dopo, nell’agosto 2025, un uomo armato con un fucile semiautomatico ha aperto il fuoco contro il quartier generale dei Centers for Disease Control and Prevention ad Atlanta, esplodendo oltre 180 colpi contro l’ingresso principale e ferendo due addetti alla sicurezza prima di essere neutralizzato.
Cosa pensa l’elettorato?
Ma cosa pensa davvero l’elettorato americano della violenza politica? Negli ultimi anni diversi studi hanno cercato di misurarlo, e i risultati mostrano un quadro ambiguo: da un lato, il sostegno esplicito resta minoritario; dall’altro, non è affatto trascurabile. Una ricerca condotta da Robert Pape e dal Chicago Project on Security and Threats ha stimato che circa un terzo dei cittadini condivida l’idea che la violenza possa essere “necessaria” per rimuovere Donald Trump dal potere. Tuttavia, queste opinioni non sono statiche: variano in modo significativo in base al contesto politico e, soprattutto, al tono dei leader.
Proprio il tentato assassinio di Trump a Butler, nel luglio 2024, ha offerto un caso di studio inatteso: un gruppo di ricercatori stava conducendo in quei giorni un sondaggio nazionale sugli atteggiamenti verso la violenza politica, riuscendo così a confrontare le risposte raccolte prima e dopo l’attacco. I risultati hanno mostrato che il sostegno alla violenza di parte tra i repubblicani non è aumentato, come molti si aspettavano, ma è diminuito, mentre sono cresciuti i sentimenti di coesione e solidarietà interna. Gli autori sottolineano che non si è registrato alcun aumento dell’ostilità verso i democratici: l’evento, pur traumatico, non ha alimentato desideri di vendetta, ma ha rafforzato l’identificazione con il proprio gruppo. Un dato che smentisce l’idea che ogni episodio estremo generi automaticamente altra violenza.
Questo andamento è collegato a un altro fenomeno di fondo: la polarizzazione affettiva. Negli ultimi vent’anni, come documentano Shanto Iyengar e Steven Webster, la distanza tra democratici e repubblicani non è cresciuta tanto sul piano delle idee quanto su quello emotivo. Oggi oltre il 70% degli elettori dichiara di provare “sentimenti molto negativi” verso il partito opposto, e quasi un terzo afferma di non avere “alcun sentimento positivo” nei suoi confronti. Questa ostilità non riguarda più soltanto i leader o le proposte politiche, ma si estende agli elettori stessi dell’altro partito, visti come nemici piuttosto che come avversari legittimi. In un clima del genere, il linguaggio bellico e delegittimante usato da molti leader — da entrambe le parti — contribuisce a normalizzare l’idea che la politica sia una lotta esistenziale, e quindi che atti estremi possano essere giustificati come “difesa” del proprio gruppo.
Le altre notizie della settimana
Mentre prosegue il dibattito sulle tensioni internazionali, Trump ha minacciato nuove sanzioni alla Russia, ma solo a condizione che l’Europa smetta di acquistare petrolio da Mosca e alzi i dazi contro la Cina, innescando dubbi sulla tenuta dell’alleanza NATO. Intanto, ha ordinato l’invio della Guardia Nazionale a Memphis per contrastare la criminalità, mentre un sondaggio mostra un calo di fiducia degli elettori sulla sua gestione economica. Cresce anche l’attesa per un possibile incontro con Xi Jinping, dopo contatti tra i vertici diplomatici e militari dei due paesi, sullo sfondo di nuove incursioni russe nello spazio aereo NATO.
Il presidente ha annunciato l’invio della Guardia Nazionale a Memphis per contrastare l’aumento della criminalità, proseguendo la strategia di usare forze federali nelle città governate dai democratici. Dopo interventi simili a Washington e Los Angeles, Trump punta ora a rafforzare il controllo federale anche in altre aree urbane, come Chicago, suscitando polemiche in un contesto politico sempre più polarizzato.
L’omicidio di Iryna Zarutska, 23 anni, accoltellata senza motivo su un treno a Charlotte da un uomo con precedenti penali e problemi psichiatrici, ha sconvolto gli Stati Uniti e acceso uno scontro politico sulla sicurezza pubblica. Trump ha invocato la pena di morte, mentre i repubblicani accusano le città democratiche di essere troppo “morbide” sul crimine; il sindaco ha promesso più sicurezza sui trasporti, mentre il Dipartimento dei Trasporti ha aperto un’indagine federale.