Le difficoltà del (rieletto) speaker Johnson
Mike Johnson è stato rieletto alla guida della Camera, ma non sarà semplice guidare i deputati del Partito Repubblicano
Mike Johnson è stato rieletto come Speaker della Camera al primo scrutinio, ma il processo di nomina è stato tutt’altro che scontato. Decisivi per il risultato sono stati i voti di due deputati Repubblicani, inizialmente contrari, convinti solo dopo l’intervento diretto del Presidente eletto Donald Trump. I numeri, infatti, non giocavano a suo favore: il GOP controlla 219 dei 435 seggi della Camera e sarebbe bastato il voto contrario di appena due deputati per affossare la candidatura.
Già due anni fa, del resto, la nomina dello Speaker del GOP fu molto combattuta. Il lungo processo di allora aveva evidenziato profonde spaccature all'interno del partito, con diversi scrutini necessari per arrivare a una decisione. Nonostante le tensioni, Kevin McCarthy riuscì infine a ottenere la carica, ma non senza concessioni significative ai membri più conservatori. Questa fragilità è emersa chiaramente durante il suo mandato, culminando nell’inaspettato affossamento di McCarthy nell'ottobre scorso. Con una mozione di sfiducia senza precedenti nella storia recente del Congresso, alcuni Repubblicani, insieme ai Democratici, posero fine alla sua leadership.
Dopo settimane di stallo e diversi candidati respinti, il partito ha poi trovato finalmente un accordo sulla figura di Mike Johnson, rappresentante della Louisiana e membro stimato dai conservatori. Anche lui, però, in questo periodo ha incontrato non poche difficoltà nel tenere uniti i suoi e, per questo, era sulla graticola. La rielezione di Johnson, perciò, è il risultato di una tregua fragile all’interno del Partito Repubblicano. Le ali più conservatrici, rappresentate dal Freedom Caucus, hanno già avanzato richieste stringenti: riduzione dell’inflazione, sicurezza energetica e un approccio più deciso sul controllo delle frontiere.
Queste condizioni evidenziano che il sostegno ricevuto è tutt’altro che incondizionato. Certo, tra le misure approvate dalla Camera nelle ultime ore spicca un cambiamento significativo: per avviare una mozione di sfiducia contro lo Speaker saranno necessari almeno nove firmatari, rispetto al singolo richiesto in passato. Nonostante ciò, il rischio di una destituzione, come accaduto al predecessore Kevin McCarthy, rimane concreto. Del resto, nei minuti successivi alla rielezione di Johnson come Speaker, l'ala più conservatrice dei Repubblicani ha immediatamente inviato una lettera al leader sottolineando come il voto in suo favore sia stato “esclusivamente per la fedeltà nei confronti di Trump e per garantire correttamente la certificazione della sua elezione”, che invece avrebbe potuto subire uno slittamento senza il Congresso pienamente al suo posto.
Lo stesso tycoon, del resto, ha avuto un ruolo centrale nella rielezione. Il deputato Andy Biggs, inizialmente uno dei più scettici, ha sottolineato: “Ho delle perplessità, ma il Presidente Trump ha detto di voler lavorare con Johnson, e fondamentalmente, ne abbiamo tenuto conto”. Alla domanda se crede che Johnson sarebbe sopravvissuto senza l'appoggio di Trump, Biggs ha risposto: “No. Penso che sia stato importante”. Johnson, però, dovrà dimostrare di essere capace di trasformare l’agenda di Trump in realtà, pena la perdita del supporto interno.
Come ha sottolineato il deputato Don Bacon, la capacità di Trump di “piegare i dissidenti” sarà essenziale per evitare nuove crisi. Nelle sue prime dichiarazioni come Speaker rieletto, Johnson ha promesso una maggiore trasparenza, impegno per la riduzione del deficit e una gestione rigorosa del processo legislativo. Tuttavia, l’accoglienza delle nuove regole non è stata unanime. Alcuni Repubblicani hanno espresso malcontento per l’inclusione di misure a favore di leader internazionali, come il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu.
Cosa ci dice la nomina dello Speaker
Nonostante l'influenza di Trump sul Partito Repubblicano, questi giorni sottolineano ancora una volta come per il tycoon sarà parecchio complicato gestire la sua maggioranza alla Camera. Già due settimane fa, del resto, il caos nelle trattative per evitare lo shutdown aveva dimostrato come molti deputati fossero pronti ad andare contro le richieste del futuro presidente pur di difendere le loro prerogative principali.
Inoltre, il suo mandato sarà costellato di difficoltà nel presentare e passare risoluzioni senza il supporto dei Democratici. Attualmente i seggi Repubblicani sono 219 a causa delle dimissioni di Matt Gaetz, ma presto la maggioranza potrebbe perdere ulteriori membri come Mike Waltz ed Elise Stefanik, che sono stati nominati nell’amministrazione Trump e non dovrebbero avere difficoltà ad essere confermati. Questa situazione evidenzia le fragilità che lo Speaker Johnson dovrà affrontare nei prossimi due anni. Se l’ala conservatrice dovesse rifiutare la mediazione di Trump e chiedere la testa di Johnson, quest’ultimo potrebbe essere costretto a stringere un accordo con il leader democratico Jeffries per mantenere una certa stabilità alla Camera. Tuttavia, una tale mossa sarebbe a una sentenza capitale per l’agenda politica di Trump.
Anche se i seggi lasciati vacanti sono solidamente repubblicani, più ci si avvicina alle elezioni di metà mandato del 2026 e maggiori potrebbero essere le sorprese, soprattutto se Trump dovesse perdere popolarità nel primo anno e mezzo di presidenza. La maggioranza è così risicata che qualsiasi assenza o incidente potrebbe risultare fatale. Si pensi, ad esempio, alla deputata Virginia Foxx della Carolina del Nord, che proprio ieri ha subito una caduta dolorosa e la cui età avanzata la rende particolarmente vulnerabile. Johnson, quindi, dovrà garantire la presenza costante di tutti i deputati Repubblicani ad ogni votazione, senza eccezioni. Tuttavia, come sappiamo, le eccezioni sono inevitabili.
In ogni caso, come sottolinea la CNN, il fatto che l'elezione sia arrivata al primo scrutinio è comunque un segno incoraggiante di avvio. Johnson e i suoi alleati erano infatti convinti che nessun altro esponente Repubblicano sarebbe stato capace di coalizzare i suoi. Ragion per cui, per molti, la rielezione dello Speaker attuale rappresentava l'unica strada possibile: la sola incognita era legata a quanti scrutini sarebbero stati necessari. L'esserci riusciti subito è indubbiamente un buon punto di partenza.
Ma quali sono le principali difficoltà che Johnson dovrà affrontare? La priorità legislativa immediata è l'elaborazione di un grande pacchetto di misure che includa l'estensione dei tagli fiscali di Trump e interventi per la sicurezza delle frontiere. Tuttavia, questa iniziativa è complicata dalla richiesta di Trump di aumentare il tetto del debito di 1.500 miliardi di dollari (su cui c'è la ferma contrarietà di parte del GOP), accompagnato da tagli di spesa per 2.500 miliardi. Questi tagli, secondo alcuni membri come Ralph Norman, dovranno essere reali e non semplici riduzioni degli aumenti previsti. Farlo, però, non sarà semplice: toccare elementi come la spesa sanitaria e pensionistica, ad esempio, potrebbe rivelarsi estremamente impopolare nell’elettorato del partito.
Molti esponenti del GOP propongono di partire dalle politiche energetiche e sul clima portate avanti da Biden, ma anche qui la situazione è meno semplice del previsto. La maggior parte di questi investimenti, infatti, sono stati diretti verso distretti a maggioranza Repubblicana e beneficiano molto questo elettorato. Inoltre diverse aziende hanno iniziato a investire, ragion per cui potrebbero vedere di cattivo occhio un cambiamento in corsa.
Le altre notizie della settimana
Shamsud-Din Jabbar, un ex veterano dell’esercito radicalizzatosi negli ultimi anni, ha compiuto un attacco terroristico a New Orleans il giorno di Capodanno, uccidendo 14 persone e ferendone altre. L’attentato è iniziato quando Jabbar ha guidato un camion contro la folla su Bourbon Street, per poi aprire il fuoco, ferendo due agenti di polizia. Dispositivi esplosivi sono stati trovati nel veicolo. Prima dell’attacco, Jabbar aveva registrato video in cui dichiarava fedeltà all’ISIS e descriveva il suo processo di radicalizzazione, scioccando la comunità e la famiglia che avevano osservato un suo progressivo isolamento e cambiamento nell’ultimo anno.
Le autorità locali e federali hanno definito l’attacco come intenzionale e deliberato. Joe Biden, informato subito dell’accaduto, ha espresso solidarietà e promesso supporto federale, con una visita prevista a New Orleans. Anche Merrick Garland ha assicurato che l’FBI e altre agenzie lavoreranno per portare giustizia alle vittime. Donald Trump, presidente eletto, ha usato l’attentato per ribadire la necessità di rafforzare la sicurezza interna, pur riconoscendo che Jabbar era un cittadino statunitense (dopo aver inizialmente affermato, senza prove, che si trattava di uno straniero).
Il 1° gennaio 2025, inoltre, un Tesla Cybertruck è esploso davanti all’ingresso principale del Trump International Hotel a Las Vegas, causando sette feriti e la morte del conducente, Matthew Livelsberger, un soldato delle Forze Speciali dell'esercito americano. Prima della detonazione, Livelsberger si è suicidato con un colpo di pistola. Il veicolo conteneva mortai pirotecnici e bombole di gas, utilizzati per provocare l'esplosione. L’FBI sta indagando sull’episodio come un possibile atto terroristico. Livelsberger aveva inviato un manifesto in cui denunciava presunti crimini di guerra coperti dagli Stati Uniti e avanzava critiche politiche, definendo l’azione un gesto simbolico e non un attacco terroristico.
L’incidente, avvenuto poche ore dopo un simile attacco a New Orleans, ha sollevato interrogativi sulle condizioni mentali di Livelsberger, che soffriva di PTSD e depressione legati alla sua carriera militare. Nonostante fosse addestrato all’uso di esplosivi, il danno causato dall’esplosione è stato limitato.
Il presidente Joe Biden ha bloccato l’acquisizione di U.S. Steel da parte della giapponese Nippon Steel, sostenendo che mantenere un’industria siderurgica domestica è cruciale per la sicurezza nazionale e la resilienza delle catene di approvvigionamento. Nonostante le concessioni offerte da Nippon Steel, come il trasferimento del quartier generale a Pittsburgh e un veto governativo su riduzioni della capacità produttiva, Biden ha rifiutato l’accordo, segnando un’importante svolta nella politica industriale americana. La decisione ha ricevuto il plauso del sindacato United Steelworkers, ma è stata criticata da economisti, politici e dal CEO di U.S. Steel, David Burritt, che l’ha definita dannosa per la competitività industriale e le relazioni con il Giappone.
L’impatto economico e geopolitico è significativo. U.S. Steel, già in difficoltà economica con cali nei profitti, ora resta senza un acquirente, mentre Nippon Steel dovrà affrontare una penale di 565 milioni di dollari. La decisione, presa in un momento di tensioni geopolitiche e alla vigilia delle elezioni presidenziali del 2025, ha provocato delusione in Giappone, che teme ripercussioni sugli investimenti bilaterali. Pur difendendo la mossa come necessaria per la protezione dell’industria americana, Biden si trova a gestire un difficile equilibrio tra protezionismo economico, sicurezza nazionale e relazioni internazionali.