Le elezioni americane di questo novembre
New Jersey, Virginia, New York e le altre sfide di martedì 4 novembre 2025.
Il 2025 non è un anno elettorale: non ci sono le presidenziali e anche le midterm si terranno l’anno prossimo. Nonostante questo ci sono alcune elezioni che possono essere interessati da guardare per capire il sentiment del paese e lo stato di forma dei due partiti.
La sfida nel New Jersey
Nel New Jersey la sfida è tra Mikie Sherrill (Dem), ex pilota di elicotteri della Marina e profilo moderato e competente, e Jack Ciattarelli (Rep), imprenditore ed ex deputato statale che nel 2021 sfiorò l’impresa contro Phil Murphy. Sherrill ha impostato la corsa in chiave nazionale: spot martellanti — anche in spagnolo — dipingono Ciattarelli come “The Trump of Trenton” e “100% MAGA”, legandolo alle decisioni di Washington che incidono sulla vita dei pendolari (come il Gateway Tunnel). Ciattarelli ribatte cercando di riportare il confronto su temi locali: “basta parlare di Trump, parliamo di tasse, bollette e servizi”. Ma al dibattito ha definito il presidente “A grade”, un assist che Sherrill ha subito utilizzato per rafforzare l’equazione Ciattarelli = Trump.
Nei sondaggi Sherrill è avanti di qualche punto, abbastanza per essere favorita ma non per dormire sonni tranquilli: il New Jersey resta uno Stato tinto di blu, ma negli ultimi anni si è spostato più a destra di quanto ci si aspettasse e i finali in volata qui non sono una rarità. La democratica può contare su una macchina di campagna meglio finanziata e su un presidente nazionale poco popolare nello Stato, elementi che rendono efficace il messaggio anti-Trump. I repubblicani puntano invece sulla frustrazione economica: costo della vita, pressione fiscale e una crescente stanchezza verso la gestione democratica a Trenton. In pratica: Sherrill deve mantenere compatta la coalizione urbana e suburbana moderata; Ciattarelli deve allargarla, intercettando gli scontenti che nel 2024 hanno premiato i repubblicani.
Sul terreno, il New Jersey sente temi molto concreti: proprietà e affitti alle stelle, tasse locali tra le più elevate del Paese, pendolarismo e infrastrutture (strade, treni, tunnel), scuole e percezione di sicurezza. Nel Nord urbano e densamente connesso a New York (Newark, Jersey City, Hoboken) Sherrill parte avvantaggiata; nel Sud e in molte aree suburbane ed exurbane Ciattarelli trova orecchie attente quando parla di conti in ordine e servizi che funzionano. La chiave sarà l’affluenza: se città e sobborghi moderati voteranno in massa, la democratica avrà la corsia preferenziale; se prevarrà la spinta del malcontento su tasse e bollette nelle contee più scettiche verso Trenton, il repubblicano potrà trasformare la frustrazione quotidiana in un risultato politico. In ogni caso, l’esito nel Garden State farà scuola in vista del 2026: si capirà se l’anti-Trump è ancora sufficiente o se servirà una proposta più “di cucina”, centrata su costo della vita e qualità dei servizi.
Virginia, corsa per il governatore
In Virginia si affrontano due protagoniste dai profili opposti ma entrambe altamente simboliche del momento politico americano: Abigail Spanberger, ex deputata democratica ed ex agente della CIA, e Winsome Earle-Sears, attuale vicegovernatrice repubblicana, veterana dei Marines e prima donna di colore eletta a livello statale nella storia del Commonwealth. Spanberger rappresenta il moderatismo pragmatico e l’esperienza istituzionale; Earle-Sears incarna una narrativa di riscatto personale e orgoglio conservatore, fondata su religione, famiglia e identità nazionale.
Sul piano elettorale, Spanberger mantiene un vantaggio stabile nei sondaggi — tra i cinque e gli otto punti — in una corsa comunque competitiva. Il suo messaggio ruota attorno al tema dell’affordability: rendere la vita in Virginia più sostenibile dal punto di vista economico, dal costo delle abitazioni alle tasse, dalla sanità all’energia, evitando al contempo una campagna ridotta a referendum su Donald Trump. Al tempo stesso, la democratica ha denunciato con forza gli effetti dei tagli federali al personale pubblico e dello shutdown, che hanno colpito uno Stato dove oltre 300.000 cittadini dipendono direttamente o indirettamente dal governo federale. Come sottolinea NPR, questa scelta le consente di legare le preoccupazioni quotidiane dei virginiani — sicurezza del lavoro e stabilità economica — alle conseguenze nazionali della politica trumpiana, posizionandosi come garante di equilibrio e continuità.
Earle-Sears, invece, ha per ora tenuto un profilo autonomo rispetto a Trump, presentandosi come erede dell’uscente governatore Glenn Youngkin e rivendicandone l’approccio pragmatico: disciplina fiscale, riduzione delle tasse e un’agenda educativa più conservatrice. Negli ultimi mesi ha spostato la campagna su temi culturali e identitari, in particolare sulla restrizione dell’accesso degli studenti transgender agli spazi scolastici femminili, un argomento capace di mobilitare l’elettorato religioso e rurale. Il dibattito si è complicato dopo lo scandalo che ha coinvolto il candidato democratico all’Attorney General, Jay Jones, autore di messaggi violenti nel 2022 indirizzati a un deputato repubblicano: un episodio che i conservatori hanno sfruttato per accusare i democratici di “tolleranza verso l’estremismo”, nel tentativo di trascinare Spanberger in una polemica morale.
Tradizionalmente oscillante, la Virginia resta un laboratorio elettorale nazionale. Dopo la vittoria a sorpresa di Youngkin nel 2021 — che interruppe un lungo dominio democratico — e il margine ridotto dei Democratici nel 2024, i Repubblicani speravano in una nuova apertura. Ma la storia non è dalla loro parte: con la sola eccezione del 2013, da oltre quarant’anni i virginiani eleggono un governatore del partito opposto rispetto a quello alla Casa Bianca. In un clima segnato dallo shutdown e dal malcontento dei lavoratori federali, la strategia di Spanberger — proporsi come volto competente e rassicurante della normalità — potrebbe rivelarsi decisiva. Il voto del 4 novembre, che rinnova anche vicegovernatura, Attorney General e tutti i 100 seggi della House of Delegates, sarà un test anticipato della temperatura politica in vista delle midterm del 2026.
La sfida di Mandani
La corsa per la carica di sindaco di New York nel 2025 ha preso una direzione inattesa con la vittoria alle primarie democratiche di Zohran Mamdani, 33 anni, membro dell’Assemblea dello Stato di New York. Nato a Kampala, in Uganda, e trasferitosi a New York all’età di sette anni, Mamdani si è imposto come candidato del fronte progressista proponendo misure radicali per la città più costosa d’America: trasporti urbani gratuiti, congelamento degli affitti nelle abitazioni stabilizzate, una rete di supermercati comunali per l’“affordability”, infanzia universale da 6 settimane a 5 anni. Il suo trionfo ha segnato la clamorosa sconfitta dell’establishment democratico, in particolare dell’ex governatore Andrew Cuomo, ed è stato alimentato da una coalizione multirazziale di giovani, immigrati e residenti dei quartieri investiti dalla gentrificazione.
La vittoria di Mamdani non è però il risultato di un semplice effetto-novità. Come messo in luce da analisi del Brookings Institution, il candidato ha saputo costruire in pochi mesi una macchina organizzativa imponente — sorretta anche dal forte radicamento della Democratic Socialists of America — e ha rivoluzionato l’uso dei social media in politica: non più dichiarazioni testuali, ma video verticali, diretti, ironici e spesso virali, capaci di intercettare emozioni e ansie quotidiane. Colpendo al cuore il tema dominante dell’agenda cittadina — il costo della vita — Mamdani ha trasformato l’insostenibilità economica dell’abitare a New York nel fulcro di una mobilitazione senza precedenti.
Su questo terreno si è innestata una frattura generazionale sempre più profonda. Come osserva NPR, il confronto con Cuomo — simbolo di una leadership esperta ma percepita come distante e gravata da anni di controversie — ha rappresentato la collisione fra un establishment logorato e un candidato giovane che promette integrità e “cambiamenti fondamentali”. I numeri parlano chiaro: oltre metà del sostegno a Mamdani proviene dagli under 50, mentre per Cuomo il 76% arriva dagli over 50. Anche i linguaggi divergono: Cuomo propone rigore ed esperienza; Mamdani appare “felice e combattivo”, capace di parlare la lingua mediale di una generazione che si informa e discute su smartphone. È stata, a tutti gli effetti, un’elezione-generazione.
Nel frattempo lo scenario elettorale post-primarie si è ridisegnato con rapidità. Il sindaco uscente Eric Adams, travolto da una crisi politica e giudiziaria e poi inaspettatamente “salvato” dalle decisioni dell’amministrazione Trump, si è comunque ritirato a fine settembre. La corsa resta così affollata ma frammentata: Cuomo è tornato in campo come indipendente, cercando di accreditarsi come argine moderato alla svolta progressista della città; sul fronte repubblicano Curtis Sliwa — ex volto radiofonico e fondatore dei Guardian Angels — fa leva su sicurezza, degrado urbano e opposizione ai migranti per tenere in vita una sfida apparentemente proibitiva in una città che vota Democratico sette volte su uno. Sullo sfondo restano poi candidati minori, destinati a incidere poco in termini di consenso reale.
È in questo quadro che Mamdani affronta la sfida della fase generale, ovvero quella di provare a vincere le elezioni — i sondaggi lo danno ampiamente favorito — e superare la reticenza di parte dell’establishment democratico, che ha esitato a lungo prima di schierarsi: lo speaker Jeffries solo nelle ultime settimane ha concesso il suo sostegno, mentre Schumer resta cauto. Al contempo, l’autodefinizione di Mamdani come socialista democratico, la sua fede musulmana e le posizioni pro-Palestina accendono entusiasmi e diffidenze, polarizzando il dibattito cittadino. E un nuovo fronte si è aperto a Washington: Donald Trump ha minacciato di trattenere fondi federali in caso di vittoria di Mamdani, definendolo “comunista” e accusandolo di voler “buttare dalla finestra i soldi degli americani”. La governatrice Kathy Hochul ha risposto garantendo che lo Stato si opporrà a qualunque tentativo di punire New York per una scelta democratica degli elettori.
Le altre elezioni
In California, la misura più seguita è la Proposition 50: una proposta che chiede agli elettori di cambiare per tre elezioni le attuali mappe dei collegi del Congresso — oggi disegnate da una commissione indipendente — per adottare invece mappe elaborate dal parlamento statale, a guida democratica. Perché? Per una ragione eminentemente politica: i Democratici vogliono controbilanciare ciò che sta facendo Trump negli stati repubblicani, dove i confini dei distretti sono stati ridisegnati per massimizzare i seggi del GOP (il cosiddetto gerrymandering). Secondo i promotori, questa riforma permetterebbe ai Democratici californiani di conquistare fino a cinque seggi in più alla Camera nelle elezioni del 2026: un numero enorme, se si considera che il controllo dell’aula potrebbe giocarsi su pochi voti. II sostenitori, dal governatore Gavin Newsom a Barack Obama e Alexandria Ocasio-Cortez, la descrivono come un’azione di difesa: se i repubblicani “truccano” la mappa altrove, la California — dicono — non può restare con le mani in mano. Gli oppositori, con in testa Arnold Schwarzenegger, denunciano invece un vero e proprio colpo di mano: la stessa classe politica che nel 2010 aveva tolto ai legislatori il potere di disegnare i distretti, ora vuole riprenderselo per interesse di parte. La posta in gioco è altissima: i risultati potrebbero decidere il destino della Camera per la seconda metà della presidenza Trump.
In Pennsylvania, gli elettori affronteranno un voto meno appariscente ma enormemente significativo: tre retention elections determineranno se i giudici della Corte Suprema statale, tutti eletti come Democratici, potranno mantenere il seggio per un nuovo mandato decennale. Una semplice scheda “sì/no”, ma con un peso decisivo sul piano nazionale: il risultato orienterà infatti la maggioranza della più alta corte nel principale swing state del Paese per tutto il prossimo ciclo presidenziale, influenzando direttamente l’arbitraggio di contese elettorali. Nel frattempo, nel Maine, un referendum promosso da gruppi conservatori vorrebbe restringere il voto anticipato e postale — richiedendo un documento con foto, eliminando due giorni di voto assenteista e vietando le buste preaffrancate — in un chiaro test sull’efficacia della retorica trumpiana contro il mail-in voting: un tema nulla affatto marginale, se si considera che nel 2024 i Democratici hanno fatto registrare numeri di voto per posta nettamente superiori ai Repubblicani nello Stato.
Le altre notizie della settimana
Trump interrompe i negoziati commerciali con il Canada per uno spot televisivo. Il presidente ha annunciato la fine delle trattative accusando Ottawa di voler influenzare la Corte Suprema con una pubblicità che usa immagini dell’ex presidente per criticare i dazi.
La Casa Bianca demolisce l’East Wing per la sala da ballo di Trump. I lavori di demolizione sono iniziati lunedì senza l’approvazione della commissione federale che supervisiona i progetti di costruzione sugli edifici governativi di Washington. Il progetto da 250 milioni di dollari è finanziato da donatori privati.
Il dibattito finale tra Mamdani e Cuomo per la poltrona di sindaco di New York. L’ex governatore Andrew Cuomo ha attaccato duramente il candidato democratico Zohran Mamdani nel loro ultimo dibattito prima del voto, ma il vantaggio a doppia cifra del 34enne nei sondaggi sembra difficile da colmare. Sabato inizia il voto anticipato.
Paul Ingrassia, nominato per guidare l’Ufficio del Consigliere Speciale, ha scritto in messaggi privati di avere una “vena nazista” e vuole abolire la festa di Martin Luther King.
Perché il Maine è ora in bilico al Senato per il 2026. La democratica Janet Mills, governatrice del Maine per due mandati, è entrata ufficialmente nella corsa per il Senato, rendendo improvvisamente competitiva una delle sfide più importanti per il controllo del Congresso nel 2026.
Graham Platner, l’allevatore di ostriche sostenuto da Bernie Sanders per sfidare la senatrice repubblicana Susan Collins, si trova al centro di uno scandalo che coinvolge post offensivi su Reddit e un tatuaggio che ricorda un simbolo nazista.
Perché la Cina sta vincendo la guerra commerciale con gli Stati Uniti. Pechino ha imparato a rispondere colpo su colpo a Washington e sta riscrivendo le regole del commercio globale. Il presidente Trump minaccia ma poi fa marcia indietro, mentre Xi Jinping consolida il suo potere interno.
Sanders: Harris ha perso perché ha ignorato la classe lavoratrice. Il senatore del Vermont sostiene che la candidata democratica non abbia affrontato i problemi economici concreti degli americani, permettendo così la vittoria di Trump.
Il “miracolo” educativo del Mississippi che gli Stati Uniti ignorano. Il Mississippi, uno degli Stati più poveri d’America, ha superato la California nell’insegnamento della lettura. Louisiana, Alabama e Tennessee hanno fatto lo stesso. Ma la maggior parte del paese non sta seguendo il loro esempio.



