L'incontro Biden-Putin e le tensioni tra Chiesa americana e Casa Bianca
L'incontro tra Biden e Putin, la Corte Suprema salva l'Obamacare e i vescovi americani vogliono negare la comunione a Joe Biden.
L’importante faccia a faccia fra Biden e Putin
Se si vuole ricercare l’evento politico più importante della settimana, lo si potrà trovare facilmente scorrendo il mappamondo e puntando il nostro dito su Ginevra, dove ha avuto luogo l’attesissimo faccia a faccia fra Joe Biden e Vladimin Putin. Un evento che, nei fatti, si è concluso senza sostanziali passi avanti: il solo fatto che l’incontro si sia tenuto è senza dubbio importante e segna un minimo riavvicinamento fra le parti, ma sui punti cruciali non vi è stato alcun miglioramento nelle relazioni bilaterali dei due paesi.
Che possono comunque sventolare qualche successo minimo, come quello relativo alla ripresa delle relazioni diplomatiche con il ritorno dei rispettivi ambasciatori, richiamati dopo le tensioni generate fra i due presidenti qualche mese fa.
Il faccia a faccia è durato circa due ore e mezza, leggermente meno del previsto.
Uno dei temi è quello relativo all’Ucraina, fronte particolarmente delicato dal punto di vista geopolitico viste anche le tensioni scoppiate con l’annessione della Crimea in Russia, che ha generato un conflitto drammatico nella zona. Le tensioni riguardavano la volontà espressa dall’Ucraina di entrare nella Nato, giudicato inaccettabile dal Cremlino proprio per non avere ai suoi confini l’alleanza atlantica.
Se da un lato Joe Biden ha espresso l’incrollabile sostegno alla sovranità ucraina, dall’altro quella dell’Ucraina è stata considerata una delle linee rosse che l’occidente non deve oltrepassare per non complicare le relazioni bilaterali.
Una delle possibili collaborazioni fra Russia e Stati Uniti riguarda invece la regione dell’Artico, dove i due paesi devono fronteggiare l’avanzata cinese. Ed è proprio il timore relativo all’espansione di Pechino che può portare ad una de-escalation fra i due paesi, entrambi preoccupati dai piani di Xi Jinping, considerato il pericolo principali da Biden ma che preoccupa parecchio anche Vladimir Putin.
Sono diversi, però, i temi delicati per il quale l’incontro si è concluso con un nulla di fatto. Nessun accordo è stato trovato ad esempio sulla questione della cybersecurity, con i due presidenti che nell’intervista rilasciata al termine dell’incontro non hanno fatto altro che far rimbalzare la palla nel campo avversario.
Biden infatti ha sottolineato l’esigenza di tenere alta l’asticella contro gli attacchi informatici da parte russa, presentando una serie di infrastrutture critiche da proteggere, mentre Putin ha evidenziato come in realtà la maggior parte degli attacchi hacker nel mondo provenga dal suolo americano.
Anche la questione dei diritti civili, altro tema delicato che Biden ha considerato centrale e su cui Putin ha evitato di rispondere in conferenza stampa, e quella relativa a Navalny, che secondo il presidente russo “sapeva di violare la legge quando è rientrato illegalmente nel paese”.
Anche sulla questione dei diritti umani Putin ha gettato la palla nel campo avversario, citando violazioni perpetrate da parte americana, come quella relative ai campi di prigionia di Guantanamo. Nel complesso, Biden ha concluso la sua conferenza stampa dichiarando di non volere una nuova Guerra Fredda, per quanto ha ammesso che al momento non esistono le condizioni per un riavvicinamento tra i due paesi.
Uno dei pochi passi concreti è stato quello relativo al nucleare, dato che i due presidenti si sono impegnati in un memorandum per la stabilità strategica, affermando che una guerra atomica avrebbe effetti devastanti e non sarebbe vinta da nessuno.
I vescovi americani vogliono negare la comunione a Joe Biden
Sfida aperta fra la chiesa americana ed il presidente Joe Biden, a seguito di una mozione che potrebbe privare l’inquilino della Casa Bianca del diritto di comunicarsi con l’eucarestia durante la Santa Messa. Una scelta importante, vista la fede cattolica più volte espressa e professata da Biden.
Andiamo per ordine e cerchiamo di capire la situazione e le cause. Anzitutto serve evidenziare come da tempo all’interno della chiesa americana vi sia un sentimento poco favorevole alla rivoluzione portata avanti da Papa Francesco: la curia a stelle e strisce, infatti, ha spesso assunto posizioni molto conservatrici, soprattutto in temi come quelli relativi alle unioni civili ed al diritto d’aborto.
Scelte che hanno spinto parte delle gerarchie ecclesiastiche all’aperto sostegno nei confronti di Donald Trump. L’arcivescovo di New York Timothy Michael Dolan, ad esempio, la scorsa estate aveva partecipato alla convention repubblicana, anche se aveva affermato che il suo discorso non fosse un esplicito sostegno al partito (lo stesso arcivescovo nell’occasione ha ricordato come nel 2012 avesse parlato di fronte ad una platea democratica).
Una frangia ultraconservatrice che si è scontrata con l’ala più liberal del partito, aprendo diverse frizioni manifestatesi negli ultimi anni. Secondo l'analisi del Rev. Thomas J. Reese del Religion News Service, i vescovi profondamente conservatori costituiscono almeno metà del clero americano.
Ed ha partire da questo che i vescovi americani hanno approvato con una maggioranza schiacciante (168 si, contro 55 no e sei astenuti, numeri superiori alle previsioni) la stesura di un documento sul significato dell’Eucaristia nella vita della Chiesa. Il testo, che sarà votato a novembre, dovrebbe contenere un invito per quei cattolici che ricoprono ruoli ufficiali, chiamati ad essere testimoni attivi della fede.
Qui si apre la questione più delicata, perché si inserisce nella guerra che i vescovi americani hanno aperto nei confronti di Joe Biden, in particolar modo sulla posizione favorevole del presidente al mantenimento della Roe w Wade, sentenza della Corte Suprema che legittima il diritto d’aborto (e non all’atto in sé, al quale si è detto personalmente contrario).
Una situazione molto delicata, che infatti ha creato dibattito all’interno del clero, preoccupato anche per la politicizzazione che la vicenda stava assumendo. Il presidente, dal canto suo, ha preferito non commentare la vicenda chiarendo che si tratta di questioni private, ma affermando anche scetticismo sulla concretezza del provvedimento.
Non è chiaro se i conservatori potranno avere i due terzi dei consensi dei vescovi americani, e ben più difficile è l'approvazione da parte del Vaticano, che ha espresso i timori (condivisi anche da parte dell'episcopato statunitense) relativo alla politicizzazione di un tema così delicata.


La Corte Suprema salva l’Obamacare
L’Affordable Care Act, la storica riforma sanitaria approvata dal presidente Obama e divenuta appunto famosa con il nome di Obamacare, è stata salvata dalla Corte Suprema a maggioranza conservatrice con una votazione tenutasi la scorsa settimana. Gli unici membri della SCOTUS ad aver espresso parere contrario sono stati Samuel Alito e Neil Gorsuch.
Il provvedimento voluto da Obama è stato di importanza storica perché ha permesso a milioni di cittadini di accedere ad un’assicurazione sanitaria, divenuta obbligatoria, a prezzi accessibili, espandendo anche i programmi assistenziali come Medicaid. Questa misura, però, è stata più volte attaccata dai repubblicani che in diverse occasioni hanno provato a ribaltarla, senza successo.
Questo esposto era stato presentato dopo che alcune corti minori avevano dato ragione al Texas e ad altri stati repubblicani, che affermavano l’incostituzionalità del provvedimento dal momento in cui la riforma fiscale di Trump aveva abolito le multe per chi non rispettasse il mandato individuale.
"Non abbiamo voluto discutere del merito dell'esposto in quanto né il Texas né gli altri Stati querelanti hanno alcun diritto a presentare questo esposto", scrive Breyer (colui che ha tenuto la relazione di maggioranza).
La decisione è stata presentata come una grande vittoria dal presidente Joe Biden, che ha definito la scelta come un successo per l’intero popolo americano.
Le altre notizie della settimana
Trump ha dato il proprio endorsement alla principale sfidante di Lisa Murkowski (l’unica senatrice del GOP ad aver votato l’impeachment del tycoon impegnata per la riconferma nel 2022) alle primarie repubblicane per il Senato in Alaska, l’ex Alaska Commissioner of Administration Kelly Tshibaka. “Murkowski deve andare via”, sono state le parole dell’ex presidente
Il congresso ha proclamato il giorno del Juneteenth, che ricade il 19 giugno e celebra la data in cui l’ultimo schiavo afroamericano è stato liberato dalle catene dopo 2 anni e mezzo dalla Proclamazione di Emancipazione di Abraham Lincoln, come festa federale. Finora era celebrato in 49 Stati più il Distretto di Columbia.
L’ex Presidente Donald J. Trump ha fatto sapere di essere contrario al boicottaggio delle Olimpiadi di Pechino del 2022 da parte del team olimpico americano. Sarebbe “scorretto nei confronti degli atleti” e molti Paesi al mondo non accetterebbero questa posizione, afferma l’ex presidente in una intervista concessa a Real Clear Investigations.
Dopo il summit della settimana scorsa con il Presidente russo Vladimir Putin, presto verrà il turno del Presidente cinese Xi Jinping. Lo ha annunciato il National Security Adviser americano, Jake Sullivan.
Alcune star americane, come Katy Perry, John Legend ed Orlando Bloom si sono espresse pubblicamente a favore del For The People Act, la legge voluta dai democratici che permetterebbe di espandere l’accesso al voto negli Stati Uniti. La proposta, però, non passerà al Senato. Manca l’accordo infatti con i repubblicani, anche nella versione moderata portata avanti da Joe Manchin.
Cresce la pattuglia di senatori centristi pronti a supportare una proposta sulle infrastrutture di poco inferiore ai mille miliardi di dollari, cifra comunque nettamente più bassa di quella desiderata da Biden e dai progressisti democratici. A favore ci sono nove democratici ed undici repubblicani: ci sarebbero dunque i presupposti per far passare la proposta senza usare la procedura della reconciliation.
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