Lo scontro al Congresso e le conseguenze del debito
Lo scontro nel Partito Democratico sul Reconciliation Bill, il pericolo del default e le conseguenze a lungo termine del debito pubblico.
Reconciliation bill, scontro acceso nel Partito Democratico
Quella che si è appena conclusa non è stata per nulla una settimana facile in Partito Democratico alle prese con un aspro confronto interno generato dall'approvazione del pacchetto sulle infrastrutture e dal dibattito sul “reconciliation bill”. Prima di entrare all’interno della polemica, è utile chiarire le motivazioni che l’hanno generata, tornando indietro di qualche settimana.
Fin dall’inizio del suo mandato alla Casa Bianca il presidente Joe Biden aveva posto fra le sue priorità un piano di investimenti destinato da un lato a rinnovare le infrastrutture del paese, dall’altro a rafforzare lo stato sociale attraverso l’elargizione di fondi alle fasce più deboli della popolazione. Provando a mantenere fede all’impegno di una maggiore collaborazione con i repubblicani, preso in campagna elettorale, il presidente ha scelto di scorporare i due pacchetti, lavorando insieme al GOP per approvare soltanto la prima parte di questo ridimensionando l’iniziale piano di spesa.
Una volta raggiunto l’accordo per il pacchetto sulle infrastrutture, però, lo stesso presidente Biden ha sottolineato la priorità del secondo piano, il Build Back Better Plan, da finanziare soprattutto con l’aumento della tassazione sulle grandi corporation e le fasce più ricche della popolazione, inizialmente previsto con un investimento da 3.5 mila miliardi di dollari, da approvare con i soli voti democratici attraverso la procedura del reconciliation budget, che permette di evitare il filibuster repubblicano al Senato. Gli stessi progressisti del partito, inoltre, avevano sottolineato già allora come i due provvedimenti fossero legati, minacciando di non votare quello bipartisan senza un accordo sul “reconciliation bill”.
Da allora i colloqui sono proseguiti per settimane, scontrandosi però con le perplessità dell’ala moderata rappresentata al Senato da Joe Manchin e Krysten Sinema. Il primo, pur avendo dato la sua disponibilità all’aumento delle tasse, ha espresso preoccupazione riguardo l’ammontare della cifra complessiva e le conseguenze di questa sul debito pubblico. La seconda, invece, si è detta dubbiosa anche sul primo punto, votando a favore dell’avvio del processo legislativo ma chiarendo fin dall’inizio la contrarietà a provvedimenti troppo costosi.
Lo scontro interno, però, si è acceso soprattutto nell’ultima settimana, dato che giovedì era in programma la votazione finale alla Camera sul pacchetto bipartisan. Ad alzare il tiro sono stati i progressisti, che hanno minacciato il voto contrario dal momento in cui non era stato trovato alcun accordo di massima sul “reconciliation bill”: una situazione che ha costretto la Speaker Nancy Pelosi ad un affannoso lavoro per trovare un accordo. La giornata di giovedì, però, si è conclusa con un nulla di fatto ed un voto rimandato per evitare una bocciatura che sarebbe stata clamorosa.
La giornata di venerdì, dunque, ha visto frenetiche trattative fra le parti per provare a giungere ad un difficile accordo, con lo stesso presidente Joe Biden arrivato a Capitol Hill per mediare, sottolineando l'interconnessione ed affermando di volere fortemente l’approvazione di entrambi. Il tutto mentre le trattative, proseguite in maniera frenetica, hanno portato ad alcuni compromessi fra progressisti e moderati, che hanno portato ad un abbassamento di quella che era la cifra iniziale, con il nuovo accordo che vedrà un investimento fra 1.9 e 2.3 mila miliardi.
Dal punto di vista tattico si tratta di una chiara vittoria per l’ala progressista del Partito Democratico, che ha tenuto il punto su una misura di bandiera: slegando il “reconciliation bill” dal piano sulle infrastrutture, infatti, il “coltello dalla parte del manico” nelle trattative sarebbe passato senza dubbio ai moderati, che ora dovranno trattare per giungere ad un accordo su una misura al quale hanno lavorato per settimane.
Molti dei moderati democratici, però, non hanno nascosto la loro irritazione sull’argomento: va ricordato, infatti, che sebbene l’attenzione sia stata principalmente sul Senato, anche alla Camera vi sono alcuni esponenti del partito scettici su un investimento troppo oneroso. Forte disappunto è stato espresso, ad esempio, dal gruppo “Blue Dog”, con la rappresentante Stephany Murphy della Florida che ha minacciato addirittura il voto contrario sulla reconciliation bill.
Le prossime settimane, in ogni caso, saranno decisive: trovare un accordo sarà fondamentale per non affossare l’agenda Biden, ragion per cui è ipotizzabile un compromesso fra le parti per arrivare ad un voto favorevole. La data fissata da Nancy Pelosi è quella del prossimo 31 ottobre, quando scadrà la proroga di un mese concessa dalla Camera per evitare lo stop ai lavori già in essere.
Shutdown evitato, resta il pericolo default
Attraverso un importante voto avvenuto nella giornata di giovedì, gli Stati Uniti hanno evitato un shutdown grazie all'approvazione di una legge alla Camera dei Rappresentanti che ha esteso il finanziamento delle spese correnti sino al prossimo 3 dicembre.
Si tratta di una legge approvata a tempo record con il voto favorevole di 34 repubblicani, che segue quella approvata nello stesso pomeriggio dal Senato (con 65 si e 35 no). Oltre ad evitare lo shutdown, questo provvedimento contiene anche fondi per le zone devastate dall'uragano Ida e per gli afghani fuggiti da Kabul.
Doveroso ricordare che con shutdown si intende lo stop alle attività economiche non essenziali da parte del governo, con la paralisi di alcuni uffici ed lo stop ad alcuni pagamenti. Una situazione evitata, che non sposta però l'attenzione sul più grande dei problemi, il possibile default.
Di questo abbiamo parlato approfonditamente nel numero della scorsa settimana, specificando le cause e come potrebbe essere evitato. Per farlo, basterebbe un voto al Senato per alzare il tetto del debito, ma l'accordo fra le parti non è stato ancora trovato.
Le conseguenze a lungo termine del debito
Il debito pubblico degli Stati Uniti ad agosto 2021 è arrivato ad essere pari a 28.500 miliardi di dollari, circa 2.000 miliardi in più di un anno prima. Attualmente vale quanto il 130% del PIL. Lo scoppio della pandemia ha infatti fatto crescere i debiti pubblici di tutti i paesi.
Ma quali sono le conseguenze a lungo termine del debito?
Il dibattito sul debito non vede un chiaro consensus degli economisti e la pandemia ha portato a dover ripensare alcune cose che si credevano su determinati aspetti dell’economia.
Tradizionalmente però si ritiene che un alto debito determini nel lungo termine un calo della produzione perché i fondi che verrebbero dedicati per aumentare la produttività vengono usati per gli interessi, un calo dei risparmi e lo scoraggiamento del lavoro a causa di aliquote marginali più alte per pagare i costi crescenti degli interessi, restrizioni alla capacità della politica fiscale nel rispondere alle crisi economiche e un progressivo aumento del rischio di crisi fiscale dovuta all’aumento dei tassi di interesse.
Le analisi del Congressional Budget Office, un organismo apartitico, mostrano che il costo del debito statunitense negli ultimi cinquant’anni è stato in media pari al 2%. Va comunque sottolineato che negli ultimi anni i costi sono stati bassi per via dei tassi di interesse estremamente bassi (che però non potranno rimanere a questo livello per sempre). Nell’ultimo anno fiscale è costato 404 miliardi.
Le altre notizie della settimana
Continua a scendere il supporto di Biden fra gli indipendenti, cruciali per la conferma democratica alla Casa Bianca. I principali fattori, al momento, sembrano essere la disordinata gestione del ritiro dall'Afghanistan e la situazione migratoria al confine con il Messico.
Nel mentre la situazione migratoria continua ad essere una patata bollente per un Biden in bilico fra la necessità di non essere troppo indulgente (per non scontentare gli indipendenti sensibili al tema) e di mostrare discontinuità con la linea Trump. Nelle pratiche di espulsione, ad esempio, il presidente ha chiesto all'immigrazione and Custom Enforcement (ICE) di concentrarsi soprattutto su quelli che rappresentano un pericolo per la collettività.
Riguardo alla situazione relativa al ritiro dall'Afghanistan, invece, alcuni generali hanno smentito il presidente affermando di aver proposto la permanenza di almeno 2500 soldati per garantire la sicurezza all'interno del paese.
Scoppia uno scandalo nel mondo calcistico femminile, con la presidente della National Women's Soccer League Lisa Baird costretta alle dimissioni dopo la fuoriuscita delle notizie circa una serie di molestie sessuali compiute da allenatori nei confronti delle calcistici, che hanno indetto uno sciopero.
Il giudice della Corte Suprema Brett Kavanaugh è risultato positivo al Covid-19 nonostante fosse completamente vaccinato. Al momento è in isolamento e non ha sintomi.
La California è il primo stato americano ad imporre l'obbligo di vaccinazione per gli studenti che vorranno partecipare alle lezioni in presenza. La decisione è stata presa dal governatore democratico Gavin Newsom.
Stando ad una rivelazione di Yahoo News, la CIA durante L'Amministrazione Trump avrebbe pensato di rapire o uccidere il fondatore di WikiLeaks Julian Assange.
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