L'uscita di scena di Musk: cosa resta del suo lavoro?
Nel nostro approfondimento settimanale proviamo a tracciare un bilancio del lavoro di Elon Musk, che si appresta a lasciare il governo
Elon Musk e Donald Trump: un'accoppiata che ha dominato il panorama politico negli ultimi mesi, dalla campagna elettorale fino all’avvio della nuova amministrazione. Il fondatore di Tesla, l’uomo più ricco del pianeta, è stato una presenza costante, lasciando il segno in molteplici ambiti. Ha fornito supporto economico, orientato decisioni strategiche, influenzato le discussioni tra i parlamentari e preso parte attiva all’apparato governativo attraverso il progetto DOGE, con cui ha tentato di snellire la macchina amministrativa federale. Tuttavia, questa fase sembra prossima alla conclusione. Con un post sui social, Musk ha annunciato l’intenzione di dimettersi dal suo incarico nell’entourage trumpiano, cosa che la stessa Casa Bianca ha poi confermato. Nel messaggio pubblicato su X, la piattaforma da lui controllata, il miliardario ha espresso gratitudine al presidente per l’opportunità di contribuire al contenimento della spesa pubblica superflua.
Va detto: non è stata una sorpresa. Fin dall’inizio era stato chiarito come, salvo proroghe, il suo incarico sarebbe giunto al termine il 30 maggio. Tuttavia, non si può ignorare il crescente malcontento espresso dal magnate nelle ultime settimane, segnale di un'esperienza ben più complessa di quanto lui stesso avrebbe probabilmente immaginato. In una recente intervista al The Washington Post, Musk, infatti, ha rivelato come l’intricata macchina della burocrazia federale si sia rivelata molto più ingovernabile del previsto. Parallelamente, si sono moltiplicate le indiscrezioni su tensioni tra lui e alcuni esponenti repubblicani al Congresso, accusati di voler spingere per un aumento della spesa pubblica, compromettendo così il suo obiettivo di ridurre gli sprechi. A conferma del clima teso, in un’ulteriore dichiarazione rilasciata a CBS News, il miliardario ha criticato apertamente quello che i media hanno ribattezzato One Big Beautiful Bill — l’ambizioso pacchetto legislativo promosso da Trump e dal GOP — che, secondo un’analisi indipendente del Congressional Budget Office, rischierebbe di far lievitare i costi federali di 3.800 miliardi di dollari nel prossimo decennio.
Per di più, questa non è stata certo la prima volta in cui Elon Musk è entrato in rotta di collisione con l’amministrazione Trump. È noto da tempo come il fondatore di Tesla fosse piuttosto critico nei confronti della politica dei dazi, tanto da arrivare a scontrarsi duramente con il consigliere economico Peter Navarro, da lui definito senza mezzi termini un “idiota”. Le tensioni non si sono fermate lì: anche con il Segretario di Stato Marco Rubio non sono mancati momenti di attrito. A pesare, però, è anche il richiamo degli affari. L’esposizione politica di Musk ha avuto conseguenze concrete per le sue aziende, che negli ultimi mesi hanno subito gravi contraccolpi. Tesla, in particolare, ha registrato un tracollo significativo: profitti in calo del 71% e una perdita di oltre il 40% del valore azionario dall’inizio dell’anno. Dati che confermano quanto le sue scelte pubbliche e politiche possano influenzare in modo diretto la salute economica delle sue imprese.
Cosa ha fatto il DOGE
Per comprendere davvero l’impatto di Elon Musk sull’apparato federale statunitense, è necessario tornare al giorno dell’insediamento di Donald Trump, quando con un ordine esecutivo fu istituito il DOGE (Department of Oversight and Government Efficiency). La sua missione era chiara e aggressiva: eliminare sprechi, frodi e abusi nella spesa pubblica. Musk divenne il volto pubblico del progetto, anche se formalmente l’ente veniva guidato da Amy Gleason, secondo quanto sostenuto dal governo nelle memorie legali.
Il DOGE non è mai stato un’agenzia nel senso tradizionale: nessuna legge del Congresso lo ha istituito, nessun impianto normativo strutturato lo ha regolato. È rimasto uno strumento operativo diretto della Casa Bianca, affidato a Musk e a un gruppo ristretto di ingegneri, incaricati di intervenire rapidamente sull’apparato statale. Nel complesso, sono stati rivendicati risparmi pari a 175 miliardi di dollari, ma un’analisi della CNN condotta dal giornalista Casey Tolan suggerisce che meno della metà di quella cifra sia sostenuta da documentazione anche solo basilare. Solo una parte delle cifre pubblicate – circa 72 miliardi – può essere effettivamente esaminata, mentre il resto appare privo di dettagli o basato su calcoli discutibili. Secondo Tolan, l’intero processo di reporting è stato “segnato da errori e valutazioni dubbie”, con stime indipendenti che indicano come i risparmi effettivi potrebbero aggirarsi attorno ai 16 miliardi di dollari. Diverse testate hanno documentato pratiche di sovrastima: venivano conteggiati contratti già scaduti, affidamenti non ancora attivati e in alcuni casi gli stessi “risparmi” venivano registrati più volte, con errori anche basilari (come la confusione fra milioni e miliardi).
Ma in ogni caso l’impatto non va sottostimato. Sotto la guida di Musk, il DOGE ha operato con la rapidità immediata di un algoritmo: licenziamenti in tronco, ristrutturazioni silenziose, chiusure improvvise. Le stime più affidabili parlano di oltre 200.000 lavoratori, tra dipendenti pubblici e appaltatori, rimasti senza impiego in meno di sei mesi. I settori colpiti con maggiore durezza sono stati quelli considerati “non produttivi” o ideologicamente sospetti: programmi per l’inclusione, diritti civili, tutela ambientale e ricerca pubblica. Il Dipartimento dell’Istruzione è stato di fatto smantellato, con le competenze trasferite agli Stati senza coordinamento. L’Office of Community Planning and Development ha perso l’85% del proprio personale. I tagli a USAID (l’agenzia per gli aiuti internazionali), secondo ricercatori della Boston University, avrebbero contribuito indirettamente alla morte di centinaia di migliaia di persone, soprattutto bambini, privando intere regioni di aiuti essenziali.
All’interno degli uffici federali, la cultura del lavoro è stata stravolta. Una circolare firmata da Musk imponeva a ogni dipendente di elencare ogni settimana almeno cinque risultati quantificabili, pena l’inserimento automatico in liste di esubero. Il sistema di sorveglianza interna ha eroso motivazione e collaborazione, contribuendo al collasso organizzativo. Le ripercussioni sono state particolarmente gravi in ambiti critici: il Dipartimento della Salute ha perso oltre 3.000 tecnici e scienziati, compromettendo la ricerca biomedica; la National Nuclear Security Administration ha visto ridursi del 40% il proprio personale specializzato, minando la prontezza in caso di crisi nucleari. I laboratori per lo studio dei patogeni emergenti risultano oggi inferiori del 60% rispetto al 2022, aprendo un grave vuoto nella capacità di risposta a future pandemie o minacce biologiche.
Anche sul piano internazionale le conseguenze si sono fatte sentire. La chiusura di Radio Free Asia e il ridimensionamento dell’Office of Net Assessment del Pentagono hanno suscitato allarmi tra analisti e diplomatici, che temono un indebolimento della capacità degli Stati Uniti di analizzare e anticipare le mosse di potenze rivali come Russia e Cina, in particolare nei settori della cybersicurezza e della guerra informativa.
Cosa resta del DOGE
Ora che Musk si appresta a lasciare l’amministrazione e a cedere la guida del DOGE, non è detto che l’organismo si arresti. Come evidenziato da POLITICO, il magnate ha collocato uomini di sua fiducia in quasi ogni agenzia federale, tanto che “il vero DNA del progetto risiede in quei posti, e continuerà a sopravvivere a lungo”, ha spiegato anonimamente un membro interno. Nel frattempo, Stephen Miller, esponente chiave nell’amministrazione Trump, ha sottolineato che l’opera per “estirpare la corruzione più radicata a Washington è solo all’inizio”.
È probabile dunque che il tentativo di ristrutturare il governo prosegua con una nuova strategia, meno impattante rispetto alla prima fase, quasi una “terapia d’urto”. In queste settimane, infatti, gli uomini del DOGE stanno sondando istituzioni di secondo piano e reparti periferici, mentre continuano le vertenze legali per legittimare ulteriori tariffe e tagli. Tra gli ultimi obiettivi figurano l’Ufficio delle Pubblicazioni Governative e l’Office of Congressional Workplace Rights, l’ente che gestisce denunce per discriminazioni e molestie in seno al Congresso. Allo stesso tempo, squadre di analisi sono state inviate anche alla Commissione per i Diritti Civili e al Government Accountability Office.
Tuttavia, l’azione si scontra con la resistenza interna delle agenzie. Al Dipartimento della Salute, il neodirettore del NIH, Jay Bhattacharya, ha annullato alcune imposizioni – fra cui l’obbligo di inviare report settimanali sulle performance – e ha criticato apertamente le riduzioni di bilancio. Nonostante ciò, almeno sei funzionari rimangono ancora operativi all’interno dell’istituto, dove hanno tagliato fondi alla ricerca e riorganizzato il personale, suscitando timori sulla capacità di mantenere operativa la struttura nel lungo periodo. Anche l’Agenzia per la Protezione Ambientale e il Dipartimento del Lavoro stanno cercando di riconquistare autonomia, limitando l’ingerenza dell’organizzazione. Pur di fronte a questi attriti, l’ex direttore del bilancio della Casa Bianca, Russ Vought, resta la mente dietro la strategia del DOGE e continua a collaborare strettamente con il Congresso per far approvare tagli superiori a 160 miliardi di dollari.
Musk e le accuse sul consumo di droga
Il tutto si inserisce in un momento in cui lo stesso Musk è finito nell’occhio del ciclone per alcune accuse, riportate dal New York Times, secondo le quali il miliardario avrebbe fatto uso intensivo di sostanze stupefacenti durante la campagna elettorale del 2024.Secondo quanto riportato dal quotidiano statunitense, Musk avrebbe abusato in particolare di ketamina. A marzo 2024, durante un’intervista con l’ex conduttore della CNN Don Lemon, Musk aveva dichiarato di assumere la sostanza su prescrizione medica, in piccole dosi e con cadenza quindicinale. Tuttavia, secondo le fonti interpellate, l’uso era in realtà molto più frequente: l’imprenditore avrebbe assunto ketamina anche quotidianamente, spesso mescolandola con altre sostanze.
Il consumo regolare avrebbe avuto ripercussioni fisiche. Musk avrebbe raccontato ai suoi collaboratori di aver sviluppato problemi alla vescica a causa dell’uso della sostanza. Le stesse fonti affermano che Musk facesse uso anche di ecstasy e funghi allucinogeni. Inoltre, era solito portare con sé una scatola di medicinali contenente circa venti compresse, tra cui pillole con la marcatura di Adderall, uno stimolante usato nel trattamento del disturbo da deficit di attenzione. La questione, chiaramente, ha inevitabilmente sollevato ulteriori polemiche sulla lucidità mentale di una persona che ha avuto enorme impatto sulle scelte governative.
Le altre notizie della settimana
Durante un comizio in Pennsylvania, Donald Trump ha annunciato il raddoppio dei dazi sull’acciaio importato (dal 25% al 50%) e ha approvato l’acquisizione di US Steel da parte della giapponese Nippon Steel, nonostante in passato si fosse opposto all’operazione. L’ex presidente ha presentato la mossa come strategica per rilanciare l’industria americana, promettendo 100.000 posti di lavoro e bonus ai lavoratori. Le misure, di stampo protezionista, hanno suscitato reazioni contrastanti, anche tra i sindacati, e rischiano di riaccendere tensioni commerciali con Giappone, UE e Corea del Sud.
Tuttavia, la strategia tariffaria di Trump ha subito un duro colpo dopo che la US Court of International Trade ha invalidato i cosiddetti dazi “reciproci”, giudicando illegittimo il loro fondamento legale nell’International Emergency Economic Powers Act del 1977. La Corte ha stabilito che il presidente non può usare quella norma per imporre dazi su scala globale, bloccando così tariffe fino al 50% su vari partner commerciali. La decisione mette in discussione la sostenibilità giuridica delle nuove misure annunciate e apre la strada a possibili rimborsi e nuove cause legali.
La Corte Suprema ha autorizzato l’Amministrazione Trump a sospendere temporaneamente un programma umanitario varato da Joe Biden, che garantiva protezione e permessi di soggiorno a oltre 500.000 migranti da Cuba, Nicaragua, Venezuela e Haiti. La decisione apre la strada a possibili rimpatri e rappresenta un ulteriore passo della Casa Bianca nel restringere le politiche migratorie. Due giudici liberal hanno dissentito, denunciando le gravi conseguenze sociali. La misura, sostenuta dalla Segretaria alla Sicurezza Nazionale Kristi Noem, è parte di una più ampia offensiva contro i programmi di immigrazione introdotti sotto l’amministrazione precedente.
Donald Trump ha dichiarato che il Canada starebbe valutando l’ipotesi di diventare il 51° stato degli Stati Uniti in cambio dell’accesso gratuito al nuovo sistema di difesa missilistica Golden Dome, il cui costo per i paesi esterni è stimato in 61 miliardi di dollari. L’affermazione, fatta su Truth Social, non ha ricevuto conferme ufficiali da Ottawa: il primo ministro canadese Mark Carney ha più volte escluso ogni ipotesi di annessione. Il Golden Dome è un progetto da 175 miliardi per proteggere il Nord America da minacce balistiche, al centro di colloqui tra Washington e Ottawa, ma all’interno di una cornice di collaborazione tra stati sovrani.
Il Dipartimento di Stato ha sospeso temporaneamente i colloqui per il rilascio di visti studenteschi e di scambio, per implementare nuove procedure di controllo sui profili social dei richiedenti. La decisione, annunciata dal segretario di Stato Marco Rubio, si inserisce nella linea dura dell’amministrazione Trump contro le proteste filopalestinesi nei campus e mira a escludere dagli USA individui ritenuti ideologicamente pericolosi. La misura colpisce studenti e docenti internazionali, sollevando timori sull’impatto economico e scientifico per le università statunitensi.
Un nuovo libro di Jake Tapper (CNN) e Alex Thompson (Axios) rivela come l'entourage di Joe Biden abbia per anni nascosto alla stampa e allo stesso presidente il peggioramento delle sue condizioni cognitive, contribuendo indirettamente al ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca. "Peccato originale" racconta come familiari e consiglieri abbiano minimizzato segnali evidenti di declino, proteggendolo anche da sondaggi negativi. Il punto di rottura è arrivato con il disastroso dibattito televisivo contro Trump nel giugno 2024, che ha portato Biden a ritirarsi dalla corsa, sostituito da Kamala Harris. La pubblicazione segue di pochi giorni la notizia della diagnosi di cancro alla prostata per l'ex presidente.