Parte l'inchiesta per l'impeachment di Biden
Nel numero di questa settimana parliamo del voto con cui la Camera dei Rappresentanti ha approvato l'avvio di un'inchiesta che potrebbe condurre all'apertura di un processo di impeachment per Biden
Nota di servizio: domenica 24 dicembre la newsletter va in pausa per le vacanze natalizie e non sarà pubblicata. Il prossimo numero uscirà domenica 31 dicembre, con il bilancio dell'anno solare della politica americana.
La Camera dei Rappresentanti ha iniziato l’indagine per mettere Biden sotto impeachment
La Camera dei Rappresentanti ha formalmente iniziato un'indagine per verificare eventuali abusi di potere commessi da Joe Biden, che potrebbe portare all’apertura di un processo di impeachment per l’inquilino della Casa Bianca. Prima di descrivere la situazione, è necessaria però una premessa: le possibilità che si arrivi a una rimozione del presidente sono pressoché prossime allo zero.
Le motivazioni di questa indagine, infatti, sono anzitutto politiche: lo Speaker della Camera dei Rappresentanti Mike Johnson aveva bisogno di una mossa che accontentasse l’ala più conservatrice del Partito Repubblicano, che da tempo richiede ufficialmente l’apertura di un processo di impeachment contro Biden. I deputati moderati del GOP, però, si sono sempre mostrati scettici verso questa ipotesi, soprattutto in assenza di prove concrete.
L'inizio di un'inchiesta formale rappresenta una soluzione intermedia, comporterà l’audizione di diversi testimoni e verosimilmente avrà una grande rilevanza mediatica. Se dovessero emergere prove concrete, allora si voterà la messa in stato d'accusa vera e propria. Questa decisione, in ogni caso, è arrivata tre mesi dopo l’apertura di tale indagine da parte della Camera dei Rappresentanti: fino ad ora, però, la Casa Bianca si era sempre rifiutata di collaborare, dal momento che il Congresso non aveva ratificato la decisione con un voto.
Ma quali sono le accuse mosse verso Biden? Gran parte dell’indagine si incentrerà sulla relazione con suo figlio Hunter, al centro di diverse grane giudiziarie. Lo scorso 8 dicembre, infatti, è stato formalmente incriminato dalla giustizia federale per la sua partecipazione a uno schema volto a evitare il pagamento di 1,4 milioni di dollari di tasse, ed è sotto inchiesta anche per possesso illegale di armi da fuoco. Inoltre, Hunter Biden ha guadagnato milioni di dollari facendo affari internazionali mentre suo padre era vicepresidente.
Secondo i Repubblicani, nel farlo ha sfruttato il nome della sua famiglia, in alcuni casi ricoprendo posizioni che sembravano presentare conflitti con il lavoro di suo padre. L'esempio più eclatante è relativo al 2014, quando è diventato membro del Consiglio di Amministrazione della piccola società energetica ucraina Burisma (il cui proprietario era sospettato di corruzione) in un periodo in cui l'attuale presidente era il principale interlocutore dell'Amministrazione Obama sulla stessa Ucraina.
Al momento non vi sono prove concrete di un coinvolgimento illecito del presidente in queste vicende, ma l’inchiesta servirà appunto per chiarire se Hunter Biden ha sfruttato l’influenza del padre per trarre guadagni economici. È difficile prevedere se, a partire da questa indagine, ci sarà una apertura formale di un processo di impeachment nei confronti dell’inquilino della Casa Bianca, anche se le possibilità ora non paiono altissime: vista la maggioranza risicata, infatti, il Partito Repubblicano può permettersi di perdere solamente pochissimi voti, e non tutti i suoi componenti si sono detti favorevoli a questa ipotesi.
Anche nel caso in cui ci dovesse essere la messa in stato d'accusa (per farlo basta un voto di maggioranza alla Camera), però, è quasi impossibile che vengano trovati i voti per rimuovere Biden dalla Casa Bianca, dal momento che servirebbe un cospicuo sostegno da parte del Partito Democratico alla mozione per raggiungere la soglia dei due terzi dei senatori.
Approvata la versione finale del National Defense Authorization Act
È stata approvata dalla Camera dei Rappresentanti la versione finale del National Defense Authorization Act, la legge che regola i piani di spesa per la difesa. Fino a pochi anni fa si trattava sempre di una norma che veniva votata senza grossi problemi in modo bipartisan, ma nell'ultimo periodo è capitato spesso che vi fossero opposizioni interne ai due partiti. In questo caso, ad esempio, 45 Democratici e 73 Repubblicani hanno scelto di respingere la proposta: l'esito è stato di 310 favorevoli e 118 contrari.
Ma cosa contiene questa misura? Al suo interno rientrano i fondi che serviranno al Pentagono nel prossimo anno fiscale, oltre ad un aumento dello stipendio per le truppe del 5.2 per cento. Sono presenti inoltre 11.5 miliardi di dollari per contenere l'influenza della Cina nell'area dell'Indo-Pacifico, 800 milioni per sostenere l'Ucraina e limitazioni all'utilizzo di bandiere in contesti militari (comprese quelle LGBT, che rappresentano la parte più importante nel dibattito). Nella norma era presente anche una clausola, promossa dai senatori Tim Kaine (D-Va) e Marco Rubio (R-Fla), che impedisce al presidente americano di uscire dalla NATO senza autorizzazione del Congresso.
"La NATO ha tenuto duro in risposta alla guerra di Putin in Ucraina e alle crescenti sfide in tutto il mondo", ha dichiarato Kaine in un comunicato, aggiungendo che la legge "riafferma il sostegno degli USA a questa alleanza cruciale, che è fondamentale per la nostra sicurezza nazionale”. Se con l'approvazione di questa norma (che ora dovrà essere firmata da Biden) la Camera ha terminato i suoi lavori in vista delle vacanze natalizie, il Senato dovrà riunirsi ancora la prossima settimana. Non è stato trovato, infatti, l'accordo fra i due partiti per sbloccare gli aiuti per l'Ucraina, con i Repubblicani che vincolano il voto favorevole a restringimenti al confine e nella politica migratoria. Nel corso degli ultimi giorni sono stati fatti dei progressi, che però il GOP non considera ancora sufficienti.
Le altre notizie della settimana:
Sia giovedì che venerdì il consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan ha incontrato Israele per discutere una possibile riduzione delle operazioni nella striscia di Gaza.
“L’obiettivo non è stoppare la guerra contro Hamas”, ha affermato il presidente Biden, “ma concentrarci per salvare più civili possibili”.
Prosegue il buon momento di Nikki Haley, l’unica Repubblicana che sembra in grado di poter battere l’ex presidente Donald Trump nelle primarie del GOP. La candidata ha infatti ricevuto ufficialmente l’endorsement di Chris Sununu, il popolare governatore del New Hampshire: questo potrebbe darle una spinta importante nello stato, il secondo in cui si andrà al voto.
Nel mese di gennaio il senatore Joe Manchin inizierà un viaggio negli Stati Uniti lungo due mesi, per mobilitare quegli elettori che si sentono senza casa politica. Questa mossa segue le voci riguardanti una sua possibile discesa in campo alle presidenziali, alle quali potrebbe correre da Indipendente sfidando sia i Democratici che i Repubblicani.
Più di cinquanta aziende hanno firmato una lettera a favore del diritto d'aborto in Texas, dichiarando come il divieto quasi totale imposto dal Congresso locale stia causando diverse problematiche economiche e stia rendendo sempre più difficile trovare lavoratori.
La lettera era stata proposta dall'azienda tecnologica Bumble, a sostegno di una ventina di donne che affermano di non aver avuto accesso a tale diritto perché i medici avevano paura delle conseguenze legali. Sempre sul tema, la Corte Suprema ha annunciato che intende esaminare la questione della pillola impiegata in oltre il 50% degli aborti negli USA e oggetto di contenziosi legali. I giudici, a maggioranza conservatrice, dovranno decidere sul ripristino delle restrizioni al suo utilizzo, attualmente sospeso, con una pronuncia prevista entro giugno
Rudy Giuliani, l'ex avvocato personale di Donald Trump, è stato condannato a versare oltre 148 milioni di dollari (circa 135 milioni di euro) a due funzionarie elettorali che aveva diffamato durante le elezioni presidenziali del 2020.
Gli avvocati di Ruby Freeman e di Wandrea "Shaye" Moss, due funzionarie elettorali dello stato della Georgia, avevano richiesto al tribunale federale di Washington almeno 24 milioni di dollari a testa.