Perché Kamala Harris ha perso le elezioni?
Nel nostro approfondimento settimanale abbiamo analizzato nel dettaglio i possibili motivi della sconfitta elettorale di Kamala Harris
In casa Democratica è iniziato un lungo periodo di riflessione. La sconfitta di Kamala Harris ha lasciato incertezza e insicurezza in un partito che si prepara a vivere la difficile opposizione ad un presidente che, da parte della sua base, è avvertito come un vero e proprio pericolo per la democrazia. Nel numero della scorsa settimana, avevamo già iniziato a mostrare alcuni dati che spiegano come si sono mossi verso destra diversi settori di elettorato. Ma, a diversi giorni di distanza dal 5 novembre, può essere possibile iniziare ad analizzare cosa non ha funzionato nella campagna elettorale della vicepresidente?
Una campagna elettorale difficile
Il primo punto da sottolineare è senza dubbio quello relativo alle difficili condizioni iniziali della candidatura dell’attuale vice-presidente. Quando Harris è entrata in corsa, ha trovato un Partito Democratico in difficoltà. I sondaggi erano assolutamente negativi e in casa Repubblicana si respirava un grande entusiasmo, derivato dal boost dato dal mancato attentato a Donald Trump e dal grande successo della convention che ha incoronato il tycoon.
A dirla tutta, nelle prime settimane la candidata era riuscita a vivacizzare l’elettorato e l’intero Partito Democratico, sfruttando anche una buona prestazione nel dibattito con Donald Trump. I sondaggi erano migliorati, ma il momentum è durato poco. Le motivazioni sono diverse e in questa newsletter cercheremo di delinearle. Nell’affrontare questo discorso, però, va fatta una doverosa premessa: da un lato, i dati del voto sono ancora provvisori e incerti, ragion per cui è presto per analizzarli con chiarezza. In secondo luogo, la cause di un risultato elettorale sono numerose e non sempre coerenti fra loro: nei vari stati, del resto, settori di elettorato possono aver voltato le spalle ai Dem per motivi diversi. Proprio per questo, ciò che si tenterà di fare sarà mostrare un campo di forze ed evidenziare una serie di interpretazioni (anche diverse le une dalle altre) che possono aiutare nel comprendere la situazione.
La prima analisi da fare è senza dubbio quella più semplice e scontata. Kamala Harris ha perso in quanto esponente di una amministrazione uscente impopolare. Del resto, è indubbio che i fattori principali nella vittoria di Donald Trump siano stati proprio quelli relativi all’economia e all’immigrazione: secondo gli exit poll di Fox News, la maggioranza degli elettori vedeva nel primo di questi due aspetti il tema più importante di questa tornata, e il tycoon era percepito come il più qualificato per affrontarlo.
Certo, per analizzare questi dati va comunque detto che i numeri sono tutt’altro che negativi. Come sottolinea The Atlantic, l'amministrazione Biden ha contribuito a creare una solida economia, con un tasso di disoccupazione inferiore al 4.5% e un'inflazione che dopo il boom di qualche mese fa è calata di più rispetto ad altri paesi. I salari reali sono aumentati, soprattutto per i lavoratori a basso reddito, e la produttività è forte. Con il Piano di Salvataggio Americano, l’inquilino della Casa Bianca ha stimolato l’economia inviando assegni a famiglie e aiuti per l'assistenza all'infanzia, oltre a rinforzare i governi locali.
Nonostante questo, però, per quasi il 65% delle persone che hanno risposto agli exit poll, la condizione economica era “non buona” o “pessima”. I Democratici hanno sottovalutato tantissimo il peso che poteva avere il fenomeno dell’inflazione: è vero che questa è tornata ai livelli quasi normali da un anno, ma i prezzi sono rimasti molto alti. Come sottolinea il New York Times, ad esempio, le uova costano ancora quasi il triplo rispetto a quattro anni fa. Sono tutte situazioni che influiscono sulla capacità di spesa dei cittadini: per la maggior parte degli americani le cose andavano meglio durante il mandato di Donald Trump e sono peggiorate con Biden, fattore che ha indubbiamente penalizzato la vicepresidente in carica.
Anche sul tema immigrazione, a dire la verità, sia Biden che Harris hanno provato a fare qualcosa. Questo aspetto, va detto, per l’amministrazione uscente è sicuramente uno dei più delicati fin dall’estate del 2021, quando la prima crisi al confine fece calare nettamente il tasso d’approvazione del presidente, che poi non si è mai più ripreso. Nell’ultimo periodo, inoltre, i Democratici hanno provato ad approvare una legge più stringente, ma quest’ultima è stata affossata proprio da alcuni Repubblicani, sotto la richiesta di Donald Trump, per non regalare agli avversari una vittoria politica in vista delle elezioni. Nel complesso, anche se Kamala Harris ha provato ad usare toni più duri sul tema, gli americani hanno percepito questa svolta come poco credibile. Per il 53% di quanti hanno risposto all’exit poll di Fox News, il tycoon (con il suo messaggio radicale e deciso) era il più quotato per risolvere il problema.
C’è poi un altro aspetto che ha penalizzato Kamala Harris: come sottolinea POLITICO, infatti, da un lato non ha mai preso le distanze da una governo impopolare, dall’altro non si è mai davvero identificata con nessuno dei suoi successi. Secondo quanto riportato da una fonte anonima alla CNN, alcune persone che lavoravano al fianco della candidata erano convinti che questa scelta fosse dovuta a un senso di riconoscenza verso Biden e alla volontà di non volerlo colpire in maniera diretta. Per la BBC, invece, questa situazione era più delicata: schierarsi contro l’amministrazione della quale faceva parte sarebbe stato un boomerang che l’avrebbe esposta a critiche maggiori. In questo la campagna elettorale molto corta non ha aiutato, visto che le ha dato poco tempo per far conoscere meglio alcune delle sue posizioni, anche se la stessa Harris ha probabilmente sbagliato nelle prime settimane, concedendo poche interviste convinta che una minore esposizione mediatica avrebbe finito per favorirla.
Non ha funzionato, inoltre, focalizzare tutte le attenzioni sul pericolo rappresentato da Donald Trump. Kamala Harris, per giunta, ha faticato a trovare un tema chiave su cui concentrarsi: se il messaggio su immigrazione ed economia del suo sfidante era chiaro e immediato, lei non ha trovato un argomento capace di toccare la sensibilità degli elettori.
Le interpretazioni in casa Democratica
Le interpretazioni della sconfitta in casa Democratica sono state diverse fra loro. Una parte del partito ha scaricato su Joe Biden le responsabilità per la sconfitta. Parlando ai microfoni di POLITICO, un’altra fonte anonima ha affermato: “Abbiamo condotto la migliore campagna possibile, considerando che Joe Biden era presidente. Lui è l'unica ragione per cui Kamala Harris e i Democratici hanno perso”. Anche l’ex Speaker della Camera dei Rappresentanti Nancy Pelosi ha accusato l’attuale inquilino della Casa Bianca di essere uscito troppo tardi dalla scena, sostenendo come disputare delle primarie aperte avrebbe inevitabilmente aiutato.
Per altri esponenti, il problema è soprattutto legato alla piattaforma politica proposta. Secondo Bernie Sanders, i Democratici hanno perso perché hanno “abbandonato la working class”, mentre per il governatore del Kentucky (che è stato rieletto l’anno scorso in uno stato profondamente Repubblicano) il suo partito si è concentrato poco sui problemi quotidiani della gente e sulla possibilità di governare bene e in maniera concreta. In un intervento sul New York Times ha infatti affermato: “Il Partito Democratico deve dimostrare al popolo americano di avere a cuore la creazione di una vita migliore per ogni singolo americano e deve riconquistare la fiducia del pubblico sul suo obiettivo e sulla sua direzione. Tutto questo non significa abbandonare valori e principi importanti. Come governatore, ho posto il veto a numerose proposte di legge anti-L.G.B.T.Q. e anti-choice, eppure ho battuto il candidato scelto da Trump lo scorso autunno. Bisogna tornare a concentrarsi sulla creazione di posti di lavoro migliori, su un'assistenza sanitaria più accessibile e conveniente, su strade e ponti più sicuri, sulla migliore istruzione per i nostri figli e su comunità in cui le persone non siano solo più sicure, ma si sentano anche più sicure”.
Proprio lo spostamento a sinistra dei Democratici, del resto, è stato visto da diversi esponenti moderati come uno dei principali fattori in questa sconfitta. In un post su X che rappresenta molto bene un sentimento collettivo, il membro della Camera dei Rappresentanti David Torries ha affermato: “Donald Trump non ha amici più grandi dell'estrema sinistra, che è riuscita ad allontanare dal Partito Democratico un numero storico di latinos, neri, asiatici ed ebrei con assurdità come “Defund the Police” o “From the River to the Sea” o “Latinx”. C'è più da perdere che da guadagnare politicamente nell'assecondare un'estrema sinistra che è più rappresentativa di Twitter, Twitch e TikTok che del mondo reale. La classe operaia non si beve le sciocchezze da torre d'avorio che l'estrema sinistra sta vendendo”.
Sebbene sia difficile valutare in maniera oggettiva quanto questi fattori abbiano pesato nell’elezione, è indubbio che questo spostamento a sinistra (soprattutto sulle tematiche identitarie, come ad esempio le politiche riguardanti i diritti transgender) hanno alienato una parte importante dell’elettorato moderato, soprattutto fra le minoranze.
Minoranze, suburbs, donne. Harris perde dove si credeva più forte
Come abbiamo sottolineato anche nel numero della scorsa settimana, Kamala Harris ha perso proprio andando peggio del previsto in alcuni settori di elettorato dove sulla carta avrebbe dovuto essere più forte. Nelle aree urbane, ad esempio, Donald Trump ha guadagnato ben 5,2 punti rispetto al 2020, in quelle suburbane 4,3. Soprattutto queste ultime nel recente passato si erano sempre mobilitate in massa per fermare il tycoon, mentre questa volta tale fenomeno non si è verificato.
Il segnale d’allarme per i Democratici, del resto, era già arrivato con i voti provenienti dalla Loudoun County, in Virginia, che rappresenta una parte dei suburbs di Washington DC: qui la candidata era avanti con un margine di ben 8 punti inferiore rispetto a Biden. È stato il primo dato significativo della notte elettorale, ma aveva fatto capire già l’andamento complessivo. Per fare un altro esempio, si può notare come i Dem abbiano perso la Bucks County, nei pressi di Philadelphia, dove quattro anni fa avevano vinto di quattro punti e nella quale ci si poteva aspettare di fare addirittura meglio.
Spiegare il perché di questa situazione non è certo facile. Un esponente Democratico, parlando alla newsletter NOTUS, ha affermato: “Non ho assolutamente idea di cosa sia accaduto. Ma qualcosa è andato male, terribilmente male”. Fare riflessioni a caldo, su questo aspetto, è sicuramente difficile, dato che servirà del tempo e ulteriori informazioni più dettagliate sui flussi elettorali per avere un quadro più completo della situazione. Ma i suburbs non sono certo l’unica area in cui Harris non è andata bene: i Latinos, infatti, hanno avuto un clamoroso swing verso Donald Trump. Se prendiamo ad esempio la Starr County, situata al confine con il Messico e con una popolazione latina del 97%, si è passati dal 79% di voti a favore di Hillary Clinton nel 2016 a un successo del GOP in questa tornata. Ma questo trend si è verificato in tutto il paese, con questo gruppo elettorale che si è spostato nettamente a destra.
Come si spiegano questi dati? Anzitutto va evidenziato un aspetto: l’elettorato Latino non è certo unitario e ha priorità diverse in varie aree del paese. Ad esempio, un sondaggio pubblicato poco prima delle elezioni evidenziava come Kamala Harris fosse nettamente avanti nel Midwest, mentre nel sud la situazione era di parità. In questo il fenomeno migratorio ha sicuramente contribuito. La stessa rilevazione evidenziava come ben il 40% dei Latinos e degli ispanici supportasse la costruzione di un muro al confine con il Messico, mentre per il 63% il tycoon non parlava di loro quando ha usato la retorica aggressiva sull’immigrazione.
Anche il tema economico ha influito. “È semplice, davvero. Ci piaceva come stavano le cose quattro anni fa”, ha affermato Samuel Negron alla BBC, funzionario dello Stato della Pennsylvania e membro della grande comunità portoricana della città di Allentown. Negron e altri sostenitori di Trump nella città, ora a maggioranza latina, hanno elencato altri motivi per cui la loro comunità si è spostata verso Trump, tra cui le questioni sociali e la percezione che i valori della loro famiglia si allineino maggiormente con il Partito Repubblicano.
Kamala Harris ha faticato anche nella working-class. Secondo i primi dati, i Democratici fra i bianchi con un basso livello di istruzione sono passati dal 47% del 2020 al 43 di quest’anno. Da questo punto di vista la candidata è stata percepita come poco vicina ai problemi reali della gente, mentre Biden era stato avvantaggiato dai grandi legami creati nel corso del tempo con i leader sindacali e con la base negli stati del Midwest. In questo, lo spostamento a sinistra dei Dem spiega solo una parte del fenomeno. Molte politiche progressiste, come l’espansione di Medicare o il salario minimo, sono estremamente popolari (come dimostrano anche alcuni referendum) ma Harris ha faticato nel parlarne. Anche qui, però, le identity policy hanno sicuramente alienato una parte di elettorato.
Anche fra i giovani Kamala Harris non è riuscita ad andare bene: soprattutto nel Midwest e in Texas si è avuto uno swing notevole verso destra. Già nel voto anticipato si vedeva come un alcuni stati gli under 30 si stessero recando parecchio alle urne, e questo aveva generato un certo entusiasmo fra i Dem. Ma alla fine questi elettori hanno finito per votare parecchio per Donald Trump. La stessa cosa si può dire del voto femminile, che sulla carta avrebbe dovuto favorirla, anche per la questione aborto. Rispetto al 2020, invece, il tycoon ha addirittura guadagnato leggermente consensi fra le elettrici, passando dal 43% al 46%.
Le nomine di Donald Trump
Il presidente eletto Donald Trump ha iniziato a svelare le sue scelte per i ruoli chiave della futura amministrazione: il quadro non è ancora completo, ragion per cui in questa newsletter accenneremo solamente al tema, che sarà approfondito nel dettaglio la prossima settimana. Tra i nomi più controversi spicca Robert F. Kennedy Jr., noto per il suo scetticismo sui vaccini, scelto per guidare il Dipartimento della Salute: la conferma al Senato, però, è tutt'altro che scontata. Marco Rubio, senatore della Florida con posizioni dure su Cina e Iran, è stato designato segretario di Stato, mentre Elon Musk e Vivek Ramaswamy guideranno un innovativo "Dipartimento di Efficienza Governativa" per razionalizzare l'apparato burocratico.
Altri nomi di rilievo includono Matt Gaetz, nominato procuratore generale nonostante precedenti polemiche legali (qui la conferma, però, è molto improbabile), Kristi Noem come segretaria della Sicurezza Interna per attuare politiche di immigrazione rigide, e Tulsi Gabbard, scelta come direttrice dell'Intelligence Nazionale. Anche per lei c'è l’incognita del passaggio al Senato. Mike Huckabee sarà ambasciatore in Israele, incarico cruciale dato il contesto di alta tensione in Medio Oriente.
Le scelte di Trump delineano un’amministrazione fortemente allineata alla sua visione politica e promettono di innescare intensi dibattiti al Senato, specialmente su nomi controversi come Pete Hegseth alla Difesa e Chris Wright all’Energia, noti critici delle politiche contro il cambiamento climatico. Le nomine prefigurano una Casa Bianca pronta a segnare una netta svolta ideologica.
Le altre notizie della settimana
Dopo la sua elezione, Donald Trump ha chiesto l'annullamento della condanna penale a New York per 34 accuse di falsificazione di documenti aziendali, legate al pagamento di $130.000 alla pornostar Stormy Daniels per coprire uno scandalo sessuale. Il giudice ha sospeso temporaneamente il caso, rinviando ogni decisione al 19 novembre. Gli avvocati di Trump sostengono che il presidente eletto dovrebbe godere di immunità legale, facendo riferimento a una recente sentenza della Corte Suprema che amplia le protezioni per gli atti ufficiali presidenziali.
Trump non può concedersi una grazia presidenziale per la condanna statale, ma spera di usare la sua posizione per influenzare i procedimenti legali. I casi federali contro di lui potrebbero essere sospesi in base alla politica del Dipartimento di Giustizia che impedisce di perseguire un presidente in carica.
Martedì, un giudice federale ha bloccato una legge della Louisiana che richiedeva di esporre i Dieci Comandamenti in tutte le aule delle scuole pubbliche. Una coalizione di genitori ebrei, cristiani e non religiosi ha sostenuto che la legge "interferisce sostanzialmente e rappresenta un onere" per il loro diritto, garantito dal Primo Emendamento, di educare i propri figli seguendo la dottrina religiosa che preferiscono.