Trump e Infantino al centro del sorteggio mondiale
Nel nostro approfondimento settimanale parliamo dei sorteggi del prossimo mondiale, che hanno visto Trump premiato e al centro della scena
Uno strano sorteggio mondiale
Il sorteggio dei Mondiali 2026, organizzato per la prima volta al Kennedy Center di Washington, ha assunto fin dall’inizio un carattere decisamente insolito per un evento FIFA. La cerimonia si è presentata subito con una forte impronta spettacolare: l’esibizione di Andrea Bocelli, la presenza annunciata dei Village People e la partecipazione di Wayne Gretzky, Tom Brady, Shaquille O’Neal e Aaron Judge hanno trasformato il sorteggio in un evento a metà tra sport e intrattenimento. Un po' il tutto è stato dovuto alla volontà di tenere incollati agli schermi gli ascoltatori americani, ma è indubbio l'intento esplicito di rendere Donald Trump la persona al centro del programma.
Il momento più controverso della serata è stato la consegna a Donald Trump del primo “FIFA Peace Prize”, un riconoscimento istituito poche settimane prima, senza criteri pubblici di assegnazione e non discusso dal comitato direttivo della federazione. La scelta di collocare la premiazione al centro della cerimonia ha spostato l’attenzione dal sorteggio alla dimensione politico-simbolica dell’evento. Trump ha definito il riconoscimento “uno dei grandi onori della vita”, utilizzando il palco per rivendicare il merito di aver contribuito a risolvere numerosi conflitti internazionali, mentre Infantino ha presentato la decisione come un tributo a “azioni straordinarie per la pace e l’unità”. Le reazioni sono state immediate: ONG come Human Rights Watch e l’ACLU hanno criticato apertamente l’iniziativa, giudicandola incoerente con il quadro attuale dei diritti umani e segnalando il rischio che FIFA utilizzi i propri eventi per fini di legittimazione politica.
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A rendere ancora più evidente la natura personalistica della cerimonia è stata la marginalità riservata agli altri due Paesi organizzatori — Canada e Messico — i cui leader hanno avuto ruoli simbolici e di breve durata. La scena è stata, di fatto, costruita attorno alla figura del presidente americano, presente in quasi ogni segmento del programma: dall’intervento d’apertura al sorteggio, fino al selfie finale con Infantino e gli altri capi di Stato. La combinazione di spettacolo, visibilità politica e assenza di un quadro narrativo davvero orientato al torneo ha fatto sì che il sorteggio apparisse meno come un momento di avvio del Mondiale e più come una rappresentazione della relazione — sempre più discussa — tra l’amministrazione americana e la leadership FIFA. La serata, trasmessa in tutto il mondo, si è conclusa con Trump che ballava sul palco, immagine simbolica di un evento che ha collocato il calcio in secondo piano e ha messo in primo piano tutto il resto.
Il rapporto di Trump con lo sport
Il rapporto di Donald Trump con lo sport nasce già negli anni giovanili, quando alla New York Military Academy praticò diverse discipline — baseball, basket, football, soccer, wrestling — costruendo un’immagine di sé come atleta competitivo e determinato. Questa familiarità con lo sport divenne presto un elemento utile nella costruzione del suo profilo pubblico e imprenditoriale, che si nutriva di simboli di successo, disciplina e visibilità. L’ingresso nella United States Football League negli anni Ottanta, con l’acquisto dei New Jersey Generals, rappresentò il suo primo tentativo di consolidarsi come figura di riferimento nello sport professionistico. Tuttavia, la sua inclinazione a forzare tempi e strategie portò rapidamente la lega lontano dall’originaria “Dixon Plan”, che prevedeva gradualità e sostenibilità economica: Trump spinse per un passaggio al calendario autunnale per sfidare la NFL e avvicinarsi a un possibile merger. Il risultato fu un indebolimento progressivo dell’intero progetto — fuga di squadre, crisi dei contratti televisivi, sospensione della stagione — che segnò uno dei fallimenti più noti della sua attività sportiva, pur senza intaccare in modo significativo la sua capacità di sfruttarne mediaticamente gli effetti.
Negli anni successivi, Trump si è collocato in diversi settori sportivi con una logica ricorrente: utilizzare lo sport come piattaforma di ampliamento del proprio marchio personale e dei propri network. Ad Atlantic City, ad esempio, legò il proprio nome a grandi incontri di boxe, ospitati nel suo Trump Plaza, stringendo rapporti con promotori e atleti di grande visibilità come Don King e Mike Tyson. Nel ciclismo promosse il “Tour de Trump”, una corsa pensata per offrire un equivalente statunitense ai grandi giri europei, e che attirò atleti di primo piano come Greg LeMond. Anche l’incursione nel wrestling professionistico seguì questa logica: Trump portò due edizioni di WrestleMania nei suoi casinò e, negli anni Duemila, entrò persino nella narrazione stessa della WWE con il celebre “Battle of the Billionaires”, episodio che gli garantì una presenza stabile nell’immaginario della federazione, culminata nella sua introduzione nella Hall of Fame nel 2013. Persino il tentativo di acquistare i Buffalo Bills nel 2014 — fallito per un’offerta inferiore a quelle concorrenti — contribuì ad alimentare la percezione del suo interesse per ruoli da proprietario o investitore nella massima lega del football americano.
La dimensione sportiva che più di tutte ha assunto un ruolo stabile nella strategia di Trump è però il golf. Con diciassette (poi diciotto) proprietà in diversi paesi, il golf è diventato il settore in cui ha investito maggiore continuità, sia dal punto di vista economico sia da quello simbolico. La gestione dei golf club gli ha garantito un insieme di vantaggi: un prodotto coerente con la sua estetica del lusso, un luogo di costruzione e manutenzione di relazioni con figure influenti, e una fonte di reddito basata su asset immobiliari e licenze — elementi centrali nella sua struttura imprenditoriale. Il golf è stato anche un campo utile alla definizione della sua immagine pubblica, supportata da affermazioni ricorrenti sulle sue abilità personali e dalla narrazione della propria collezione di campi come una delle migliori al mondo. Parallelamente, le relazioni con protagonisti dello sport come Tom Brady, Bill Belichick o Jack Nicklaus — e, sul versante più controverso, figure come John Daly o Mike Tyson — hanno consolidato il suo ruolo di interlocutore privilegiato per una parte del mondo sportivo statunitense. In questo quadro, la crescente vicinanza con dirigenti globali come Gianni Infantino e la presenza agli eventi internazionali più rilevanti, come i sorteggi dei Mondiali, riflettono la funzione strategica che lo sport ha assunto per Trump: un ambito in cui reputazione, visibilità e logiche di potere possono essere mobilitate in modo parallelo e complementare alla sua attività politica.
La lunga amicizia con Infantino
La relazione tra Donald Trump e Gianni Infantino prende forma nel 2018, con la prima visita del presidente FIFA alla Casa Bianca in seguito all’assegnazione del Mondiale 2026 a Stati Uniti, Canada e Messico. L’incontro, costruito su gesti simbolici — il pallone in regalo, la maglia personalizzata, la battuta sui cartellini arbitrali — si trasformò rapidamente in un momento di sintonia personale, utile per entrambi: per Trump, che trovava nello sport globale un canale di legittimazione e visibilità internazionale; per Infantino, che rafforzava la propria presenza negli Stati Uniti, mercato centrale nelle strategie FIFA. Il secondo momento decisivo avvenne a Davos nel 2020, quando Infantino introdusse Trump davanti a un pubblico di leader economici con parole particolarmente elogiative, lodandone la coerenza e collegandolo al mito del “sogno americano”. Quel sostegno, espresso in un momento politicamente delicato per Trump — reduce dal primo impeachment — consolidò un rapporto che da allora si è sviluppato con frequenza e intensità crescenti, nonostante l’obbligo di neutralità politica previsto dallo statuto FIFA.
Nel tempo, la relazione ha assunto una dimensione quasi istituzionalizzata. I due si sentono spesso, giocano a golf insieme e Infantino accompagna Trump in viaggi ufficiali, integrandosi di fatto nell’entourage presidenziale. Episodi come la presenza in prima fila all’insediamento per il secondo mandato o il viaggio nel Golfo Persico per supportare iniziative diplomatiche mostrano come il rapporto sia stato percepito da Trump come strategico, anche oltre l’ambito sportivo. Parallelamente, l’amministrazione statunitense ha costruito strumenti operativi che rispecchiano questa vicinanza: è il caso della task force governativa guidata da Andrew Giuliani per garantire l’organizzazione del Mondiale 2026, con procedure dedicate alle esigenze dei tifosi internazionali, inclusa la priorità nei processi di rilascio dei visti. Le dichiarazioni pubbliche di Trump — dal definirlo “my boy” al ringraziarlo ripetutamente nei comizi — segnalano una relazione che ha assunto una centralità crescente, con benefici reciproci: per Trump, un consolidamento della propria immagine nel mondo dello sport globale; per Infantino, un accesso privilegiato alla Casa Bianca e alla rete politica statunitense.
Accanto alla dimensione personale e politica, il rapporto ha avuto anche risvolti materiali e organizzativi che hanno sollevato critiche. FIFA ha nominato Ivanka Trump nel board di un progetto educativo da 100 milioni di dollari, ha affittato spazi nella Trump Tower — spesso inutilizzati secondo fonti interne — e ha instaurato una forte presenza a Miami, città che coincide con uno dei poli preferiti dall’ex presidente. Decisioni di questo tipo, così come le ripetute dichiarazioni pubbliche di sostegno a Trump da parte di Infantino, hanno alimentato discussioni sulla possibile violazione della neutralità politica da parte della FIFA. Inoltre, scelte logistiche rilevanti, come lo spostamento improvviso del sorteggio del Mondiale al Kennedy Center dopo un incontro privato tra i due, hanno comportato costi significativi per l’organizzazione e tensioni con altri dirigenti calcistici. La complessa gestione del Mondiale 2026, che richiede coordinamento multilivello tra federazioni, governi e agenzie di sicurezza, è diventata così anche il contesto in cui si manifesta la convergenza fra l’agenda politica di Trump e le strategie internazionali di Infantino, a conferma di un rapporto che combina elementi personali, opportunità diplomatiche e interessi istituzionali.
Le altre notizie della settimana
Il Pentagono ha comunicato ai partner europei della NATO che entro il 2027 dovranno assumere la maggior parte delle capacità di difesa convenzionale dell’alleanza, dall’intelligence ai sistemi missilistici: una richiesta che ha colto di sorpresa molte capitali europee, considerate le difficoltà industriali, i ritardi nelle forniture militari e la dipendenza dalle capacità statunitensi più avanzate. Washington ha avvertito che, in caso di mancato rispetto della scadenza, potrebbe ritirarsi da alcuni meccanismi di coordinamento della NATO, segnando un potenziale cambiamento storico nell’architettura della sicurezza occidentale.
Non è chiaro se il 2027 rifletta una posizione ufficiale della Casa Bianca o solo di una parte del Pentagono, ma il messaggio conferma l’approccio dell’amministrazione Trump: spingere gli alleati europei a farsi carico di una quota molto maggiore della difesa comune, mentre sullo sfondo restano tensioni interne all’alleanza, divergenze sulla guerra in Ucraina e l’oscillazione della linea americana tra fermezza verso Mosca e tentativi di negoziare con il Cremlino senza un reale coinvolgimento europeo.
La Commissione Europea ha inflitto a X, la piattaforma di Elon Musk, una multa da 120 milioni di euro — la prima mai applicata nell’ambito del Digital Services Act — per violazioni sugli obblighi di trasparenza, sul sistema della spunta blu ritenuto “ingannevole” e sull’accesso ai dati per i ricercatori. La decisione ha immediatamente provocato tensioni politiche con gli Stati Uniti: il vicepresidente JD Vance ha accusato Bruxelles di colpire X “per non aver praticato la censura”, mentre la Commissione ha ribadito che il provvedimento riguarda esclusivamente la trasparenza e la conformità alle norme.
La multa chiude solo una parte dell’indagine su X, mentre restano aperti i capitoli più delicati sulla gestione dei contenuti illegali e della disinformazione. Bruxelles ha sottolineato che l’importo è stato determinato secondo criteri di proporzionalità, richiamando il caso TikTok — chiuso senza sanzioni grazie alle modifiche volontarie dell’azienda — per rimarcare che ciò che conta, per l’UE, è il rispetto effettivo delle regole digitali.
La Corte Suprema ha autorizzato il Texas a utilizzare alle elezioni di midterm del 2026 una nuova mappa congressuale che potrebbe garantire ai repubblicani fino a cinque seggi aggiuntivi alla Camera, ribaltando una decisione di un tribunale federale che l’aveva giudicata probabilmente basata su criteri etnici. La sentenza, approvata con sei voti a tre, ha riacceso il dibattito sul gerrymandering e ha provocato reazioni politiche immediate: il governatore Greg Abbott ha celebrato un Texas “ancora più rosso”, mentre i democratici hanno denunciato una mappa “manipolata” e una Corte “sempre più schierata”. La decisione arriva in un momento in cui diversi stati — Texas, California, Missouri, North Carolina — stanno ridisegnando i propri distretti in vista delle elezioni del 2026, con potenziali effetti determinanti sull’equilibrio della Camera, oggi divisa da una maggioranza repubblicana disoli tre seggi.


