Tutto quello che c'è da sapere sui dazi
Nel nostro approfondimento settimanale analizziamo tutte le notizie legate ai dati imposti da Trump
La notizia è di quelle che, fin da subito, ha fatto il giro del mondo. Del resto, non poteva che essere così, visto che si tratta di una decisione che potrebbe cambiare non poco le relazioni internazionali e avere un impatto pesante sull’economia globale. L’amministrazione Trump ha infatti annunciato un nuovo sistema di dazi sulle importazioni, introducendo un “dazio universale di base” del 10% per tutti i Paesi e imponendo tariffe più alte a circa 60 nazioni con cui gli Stati Uniti hanno rapporti commerciali considerati squilibrati. Tra questi, la Cina sarà soggetta a un dazio del 54%, l’Unione Europea al 20%, il Giappone al 24%, l’India al 26% e il Vietnam al 46%. Il Regno Unito, nonostante un surplus commerciale a favore degli USA, rientrerà nella quota base. Le uniche eccezioni parziali riguardano Canada e Messico, soggetti a un dazio del 25% solo per le merci escluse dall’accordo USMCA.
Presentando la misura di fronte a lavoratori del settore manifatturiero, Trump ha difeso la nuova politica come una risposta alla "sistematica spoliazione economica" subita dagli Stati Uniti negli ultimi decenni. Ha denunciato le pratiche commerciali di diversi Paesi, come i dazi canadesi sui prodotti lattiero-caseari, le restrizioni australiane sulla carne bovina americana e le barriere europee contro il pollame statunitense. In un intervento a sostegno delle misure, un operaio dell’industria automobilistica ha affermato che le politiche di Trump stanno contribuendo a riportare investimenti e stabilimenti negli Stati Uniti.
Il presidente ha poi descritto il deficit commerciale come un'emergenza nazionale e ha promesso che l’aumento delle entrate daziarie – stimato in mille miliardi di dollari – servirà a ridurre tasse e debito pubblico. Definendo il nuovo corso economico come l’inizio di una “nuova età dell’oro americana”, ha assicurato che le fabbriche torneranno a prosperare e che gli Stati Uniti non permetteranno più di essere penalizzati dagli squilibri commerciali globali. L'obiettivo della Casa Bianca, infatti, è quello di rendere sconveniente la produzione all’estero, in modo che le aziende possano riportare la produzione negli Stati Uniti, creando più lavoro e alzando i salari.
Come funzioneranno i dazi e quale effetto potranno avere
Il primo aspetto da chiarire, in questo discorso, è capire cosa sono i dazi. Si tratta di sovrattasse imposte dal governo sulle merci importate da altri Paesi. Contrariamente a quanto spesso si pensa, non sono le nazioni esportatrici a versare direttamente questi costi agli Stati Uniti, ma le aziende che importano i prodotti. L’impatto economico dei dazi si distribuisce lungo la catena di approvvigionamento, influenzando prezzi e produzione.
Trump ha dichiarato che l'ammontare delle cifre sarebbe stato calcolato sulla base di vari fattori, tra cui dazi preesistenti, barriere non tariffarie e pratiche commerciali sleali, ma in realtà il criterio adottato si è rivelato molto più semplice: il saldo commerciale tra gli Stati Uniti e ciascun Paese. La Casa Bianca ha presentato una formula complessa, che in sostanza si riduce a un rapporto tra le esportazioni americane e le importazioni da un determinato Paese. Di conseguenza, i Paesi con un surplus commerciale rispetto agli Stati Uniti vengono considerati responsabili di un commercio “squilibrato” e sono soggetti a tariffe più elevate.
Prevedere cosa accadrà ora è sicuramente impossibile. Come spiega la Bank of Canada, ci sono tre principali canali attraverso cui i dazi influenzano l'economia: l’aumento diretto dei prezzi, l'impatto sulle catene di approvvigionamento e gli effetti sulla valuta e sul commercio internazionale. L’effetto più immediato e visibile dei dazi è l'aumento dei prezzi pagati dai consumatori. Come spiega la Harvard Business Review, l'esempio delle lavatrici è particolarmente chiaro: dopo l'imposizione di dazi nel 2018, non solo i prezzi di quelle importate sono aumentati del 12 per cento, ma anche i produttori domestici hanno alzato i loro prezzi dell'8 per cento approfittando della ridotta concorrenza estera.
Rispetto al passato, inoltre, i dazi attuali avranno un impatto diverso perché sono stati applicati su scala globale. Un caso eclatante di come le nuove norme potranno influenzare anche grandi colossi è relativo alla Nike: l’azienda da ormai vent’anni, come sottolinea il New York Times, aveva spostato una parte importante della sua produzione in Vietnam, ovvero ora uno dei paesi più colpiti da Trump (anche se a seguito di colloqui avuti negli ultimi giorni si è aperta la strada a intese bilaterali). Questa scelta era stata operata poiché il paese, oltre ad offrire manodopera a basso costo, garantiva una stabilità nelle relazioni internazionali maggiore rispetto alla Cina. Le azioni dell’azienda, infatti, sono calate ben del 13%.
Anche il comparto automobilistico subirà conseguenze significative: le auto importate potrebbero rincarare di oltre 20.000 dollari, mentre i modelli assemblati negli Stati Uniti ma con componenti stranieri vedranno aumenti tra i 2.000 e i 5.000 dollari. Gli effetti sono già concreti: Stellantis ha sospeso la produzione in due stabilimenti in Canada e Messico, con il licenziamento di 900 dipendenti statunitensi. Pesanti ricadute rischiano di essere registrate anche nel settore alimentare, dove circa l’80% del caffè importato negli Stati Uniti proviene dall’America Latina, in particolare da Brasile e Colombia, ora soggetti a dazi del 10%. Anche il mercato del cioccolato risentirà dell’aumento dei costi: le fave di cacao, importate da Costa d’Avorio, Ecuador e Ghana, subiranno dazi fino al 21%, mentre il burro di cacao sarà colpito ancora più duramente, con tariffe del 32% per l’Indonesia e del 24% per la Malesia.
Ma, se ci sono questi rischi, perché alla fine Trump ha deciso di andare comunque avanti per questa strada? In primo luogo, fin dall’inizio non è apparso chiaro se questi dazi fossero da intendere permanentemente o siano solo una strategia negoziale da parte della Casa Bianca. Giovedì, il Segretario al Commercio degli Stati Uniti Howard Lutnick e il consigliere commerciale senior Peter Navarro hanno dichiarato ai notiziari che il presidente non avrebbe fatto marcia indietro. Ma lo stesso tycoon, poi, è sembrato contraddirli, dicendo ai giornalisti: "I dazi ci danno un grande potere di negoziazione. Lo abbiamo sempre avuto. L'ho usato molto bene nella prima amministrazione, come avete visto, ma ora lo stiamo portando a un livello completamente nuovo, perché è una situazione mondiale, ed è molto emozionante da vedere".
D’altro canto, come già detto, il piano del tycoon è quello di ottenere guadagni soprattutto a lungo termine, soprattutto nel settore dell'indipendenza strategica, in particolar modo nei confronti della Cina. Alla Casa Bianca, del resto, sembrano aver già messo in conto un periodo di difficoltà economiche, ma esprime fiducia sul fatto che queste possano essere compensate da una crescita notevole dell’economia americana.
La prima conseguenza: il crollo della borsa
L’annuncio di Donald Trump di nuove tariffe sulle importazioni ha innescato un’ondata di vendite sui mercati finanziari, con l’S&P 500 che ha perso quasi il 5%, segnando il peggior calo dal 2020. L’indice è entrato in "correction territory", avendo perso oltre il 10% dal suo ultimo picco. La decisione ha colto di sorpresa gli investitori, che già affrontavano un clima di incertezza, scatenando il panico sui mercati. Il dollaro è crollato rispetto alle principali valute globali, mentre gli investitori si sono rifugiati nei titoli di Stato. Gli analisti sono divisi sulle conseguenze: alcuni temono un’impennata dell’inflazione, che manterrebbe i tassi d’interesse elevati, mentre altri ritengono che il colpo all’economia possa spingere la Federal Reserve a tagliare i tassi più rapidamente.
L’impatto si è esteso ben oltre gli Stati Uniti: le borse europee e asiatiche hanno registrato pesanti perdite, con settori chiave come tecnologia, abbigliamento e auto particolarmente colpiti. Apple, Amazon e Nvidia hanno subito crolli significativi, mentre le azioni di Nike sono scese di oltre il 14% a causa dei dazi sui prodotti provenienti da Vietnam e Indonesia. Anche i mercati asiatici hanno reagito negativamente, con perdite per Toyota e Samsung. Il prezzo del petrolio è sceso di oltre il 6% in seguito all’aumento dell’offerta da parte dell’OPEC, aggravando le preoccupazioni per un rallentamento dell’economia globale. L’incertezza su come e per quanto tempo dureranno questi dazi rende difficile valutare le conseguenze economiche a lungo termine, ma il rischio di una recessione globale appare sempre più concreto.
Nonostante il crollo dei mercati, Trump e i suoi consiglieri hanno minimizzato l’accaduto, prevedendo una ripresa e difendendo la politica tariffaria. “I mercati torneranno a crescere,” ha dichiarato il presidente, mentre il Segretario al Commercio Howard Lutnick ha chiesto fiducia nella strategia dell’amministrazione.
Le reazioni dei paesi colpiti
Le reazioni internazionali non si sono fatte attendere. La Cina è stata fra le prime a rispondere con dei contro dazi. In Europa, la presidente della Commissione Ursula von der Leyen ha dichiarato che il blocco agirà in modo compatto, anche se le misure precise non sono ancora state definite. La Francia, attraverso la portavoce del governo Sophie Primas, ha ipotizzato ritorsioni nel settore dei servizi digitali, mirando direttamente a giganti come Google, Apple e Amazon. La Germania, invece, sembra ancora sperare in un accordo, ma il ministro delle Finanze Jörg Kukies ha avvertito che l’Europa deve dimostrare forza.
L’India e il Giappone hanno adottato un approccio più cauto. Nuova Delhi sta ancora valutando l’impatto dei nuovi dazi del 27% imposti dagli Stati Uniti, mentre Tokyo ha espresso il proprio disappunto senza parlare apertamente di ritorsioni. Il premier giapponese Shigeru Ishiba ha sottolineato che le aziende nipponiche stanno contribuendo alla reindustrializzazione americana, un messaggio diretto alla Casa Bianca nel tentativo di allentare la pressione commerciale.
Il campanello d’allarme per Trump. Le reazioni nel Partito Repubblicano
Una delle particolarità che ha riguardato il dibattito seguente all'introduzione dei dazi è che, per la prima volta dall'inizio della nuova presidenza, diversi esponenti del Partito Repubblicano hanno criticato la scelta della Casa Bianca. Che alcune esponenti come Lisa Murkowski, che da anni rappresenta l’ala moderata del GOP, abbiano preso le distanze (sollevando preoccupazioni per l’aumento dei prezzi) non è forse una sorpresa.
A stupire è che siano arrivate diverse voci contrarie anche da altri senatori. Jerry Moran (R-Kan.) ha dichiarato di aver ricevuto segnalazioni dagli agricoltori del Kansas, preoccupati di essere duramente colpiti dai dazi di ritorsione dei partner commerciali stranieri. "Penso che la maggior parte degli abitanti del Kansas, compreso gli agricoltori, che sono stati così colpiti, si aspettassero qualcosa di meno drammatico", ha affermato.
Anche Ted Cruz ha sollevato perplessità, affermando: “Non sono un fan dei dazi", ha detto il senatore Ted Cruz (R-Texas). "Se altre nazioni che sono nostri partner commerciali rispondono all'annuncio di ieri abbassando i dazi che impongono sui beni e servizi degli Stati Uniti e il governo degli Stati Uniti a sua volta li abbassa sui propri beni e servizi, questo sarebbe un buon risultato. Ma se altre nazioni li aumentano e il risultato sono dazi elevati ovunque, questo è un cattivo risultato per il paese".
Alcuni membri del Partito Repubblicano sono passati anche all'azione parlamentare. Il senatore dell'Iowa Chuck Grassley ha presentato un disegno di legge che richiederebbe l'approvazione del Congresso per nuovi dazi. Questo è avvenuto pochi giorni dopo l'approvazione di una legge al Senato (che sarà senza dubbio affossata alla Camera) votata da quattro senatori Repubblicani, con la quale si stoppavano i dazi nei confronti del Canada.
Come evidenzia G. Elliott Morris nella sua newsletter, del resto, dal punto di vista politico, i dazi sono estremamente impopolari. Un sondaggio di YouGov mostra che oltre la metà degli americani disapprovi la nuova politica, con particolare opposizione tra gli indipendenti. Inoltre, la maggioranza degli intervistati ritiene che queste misure faranno aumentare i prezzi, il che potrebbe causare malcontento diffuso, soprattutto tra le fasce più vulnerabili della popolazione. L’articolo sottolinea che le questioni economiche, tra cui inflazione e commercio, sono le aree in cui Trump è più debole nei sondaggi, con una netta disapprovazione rispetto ad altri ambiti come immigrazione o criminalità.
Le altre notizie della settimana
Oltre 1.200 proteste si sono svolte in tutti i 50 Stati americani sotto lo slogan “Hands Off!”, contro le politiche dell’Amministrazione Trump e l’influenza crescente di Elon Musk nel ridimensionamento del governo federale. Le manifestazioni, promosse da una rete di oltre 150 gruppi, hanno criticato i tagli a programmi sociali, la chiusura di agenzie, le espulsioni di immigrati e le restrizioni sui diritti LGBTQ+. Tra le città coinvolte ci sono Washington D.C., New York, Boston, Columbus e Palm Beach.
Elon Musk, ora alla guida del nuovo Dipartimento per l’Efficienza Governativa, sostiene che i tagli porteranno risparmi miliardari, ma secondo i critici mettono a rischio servizi fondamentali. Le proteste hanno visto una partecipazione trasversale, con slogan contro l’erosione della democrazia e la difesa della Previdenza Sociale. La Casa Bianca ha replicato affermando che il presidente Trump proteggerà i benefici sociali, accusando invece i Democratici di volerli estendere agli immigrati illegali.
Donald Trump ha concesso una seconda proroga di 75 giorni a ByteDance per vendere le operazioni statunitensi di TikTok a un acquirente non cinese, rinviando così l’entrata in vigore del blocco del social network previsto dalla legge del 2024. L’amministrazione è in trattative con quattro potenziali gruppi di investitori, tra cui Walmart e Amazon, per creare una nuova entità americana con una partecipazione cinese inferiore al 20%. La mossa arriva sullo sfondo di tensioni commerciali con la Cina e dazi record, e potrebbe rappresentare un punto di svolta nei rapporti tra le due potenze, mentre TikTok continua a essere usato da milioni di americani nonostante i timori sulla sicurezza dei dati.
L’economia statunitense ha registrato 228.000 nuovi posti di lavoro a marzo, ben oltre le previsioni, segnalando un mercato del lavoro ancora solido nonostante l’introduzione dei nuovi dazi voluti da Trump. Tuttavia, il tasso di disoccupazione è salito leggermente al 4,2% e le stime di gennaio e febbraio sono state riviste al ribasso. La crescita salariale rallenta, mentre gli economisti tagliano le previsioni di crescita e alzano quelle sull’inflazione. La Federal Reserve osserva da vicino i dati per valutare l’impatto della linea protezionista della Casa Bianca.
È stato archiviato il caso di corruzione contro il sindaco di New York Eric Adams, ma la decisione ha scatenato polemiche per l’intervento diretto dell’amministrazione Trump, che avrebbe esercitato pressioni sul Dipartimento di Giustizia. Almeno sette procuratori si sarebbero dimessi in segno di protesta.
Il giudice federale ha optato per un’archiviazione definitiva, temendo ingerenze politiche, ma ha definito la vicenda «con le sembianze di un baratto» tra la Casa Bianca e il sindaco, che nei giorni scorsi ha lasciato il Partito Democratico e scelto di cooperare con Trump, probabilmente proprio in seguito a questa situazione.
Il senatore democratico Cory Booker ha tenuto un discorso di protesta al Senato durato 25 ore e 5 minuti, il più lungo nella storia della camera alta statunitense. L'intervento, iniziato lunedì sera, è stato una denuncia accorata contro l'amministrazione Trump e i pericoli che, secondo Booker, minacciano la democrazia americana. Il senatore del New Jersey ha accusato il presidente di aver danneggiato profondamente le istituzioni e i valori costituzionali in soli 71 giorni di mandato, e ha criticato anche il Congresso per non aver reagito con sufficiente fermezza.
Pur non essendo tecnicamente un filibuster — cioè un ostruzionismo parlamentare volto a bloccare un voto — l’intervento ha assunto una forte valenza simbolica, attirando l’attenzione nazionale e rilanciando l'immagine del Partito Democratico, anche in vista delle elezioni di midterm del 2026.
In Wisconsin, la giudice liberal Susan Crawford ha vinto con largo margine la corsa per la Corte Suprema statale, nonostante il massiccio sostegno finanziario di Elon Musk al conservatore Brad Schimel. La sua elezione rafforza la maggioranza progressista nella corte (4-3) e potrebbe aprire la strada a una revisione delle mappe elettorali. L’alta affluenza e il netto miglioramento rispetto ai risultati democratici del 2024 segnalano un possibile recupero di consenso per il partito.
In Florida, i Repubblicani hanno mantenuto due seggi alla Camera, ma con margini in calo. Randy Fine ha vinto nel Sesto distretto con un vantaggio dimezzato rispetto al passato, mentre Jimmy Patronis ha registrato un risultato più debole nel Primo. Pur conservando i seggi, il GOP deve fare i conti con un'opposizione più mobilitata del previsto: il margine del successo, infatti, è stato nettamente inferiore al solito.